di Antonella Mariani (Avvenire, 16 aprile 2019)
– «È sempre sfruttamento e abuso, anche quando è legale. Un’abile mistificazione alle spalle delle donne più fragili». Parla la giornalista Julie Bindel, autrice di una inchiesta internazionale
Ha visitato i bordelli legali in Australia, Germania, Nevada, Olanda; ha intervistato in tutto il mondo decine di sopravvissute alla prostituzione, proprietari di case di appuntamenti e di agenzie di escort, uomini di governo e compratori di sesso, attivisti per la legalizzazione del «lavoro sessuale» e femministe che al contrario lottano per la sua abolizione. La giornalista britannica Julie Bindel ha compiuto la più vasta ricerca mondiale mai effettuata sulla prostituzione, indagando sui meccanismi che regolano il business e sulle condizione delle donne che vi sono coinvolte. I risultati dell’indagine che le è costata due anni di lavoro e decine di viaggi in tutti i continenti sono condensati in Il mito Pretty Woman (VandA-Morellini, pagine 318, euro 17,90). Un titolo curioso, che già rivela le conclusioni dell’autrice: la lobby dell’industria del sesso anno dopo anno ha «spacciato» l’immagine falsa della «prostituta felice» – a cui peraltro ha dato una grande mano il celebre film interpretato dal Julia Roberts e Richard Gere –, celando la pura e semplice verità per ragioni di bottega: la prostituzione è sempre abuso e sopraffazione, mai libera scelta, e chi afferma – parte del femminismo compreso – che il «sex work» è un lavoro come gli altri e come tale va garantito, commette una crudele mistificazione alle spalle delle donne più fragili e marginali.
Julie Bindel, perché oggi si parla tanto di ‘sex workers’ come se si trattasse di normalissimi lavoratori e lavoratrici?
Grazie all’appoggio di enti come Human Rights Watch, Organizzazione mondiale della salute, Unaids e Amnesty International, il movimento per i diritti dei ‘sex workers’ può presentarsi al mondo come fondato sulla liberazione di un gruppo oppresso. Uno degli argomenti più ridicoli usati da questi cosiddetti gruppi per i diritti umani, è che grazie alla depenalizzazione della prostituzione diminuirà la violenza della polizia e degli sfruttatori contro le donne prostituite. Un altro argomento è che i nuovi casi di Hiv si ridurranno in modo significativo perché i protettori avranno l’obbligo di far usare i preservativi. Ma come ho visto visitando i bordelli legali in Nevada, Germania, Olanda e Australia, è impossibile applicare una ‘regola del preservativo’. In Nevada, ad esempio, alle donne è richiesto di sottoporsi ogni settimana a esami del sangue per assicurare ai protettori che sono sane, dato che molti uomini vogliono acquistare sesso senza protezione. La verità è che il neoliberismo ha innalzato il libero mercato del sesso al di sopra dei diritti umani, in particolare di quelli femminili. Un approccio corretto dovrebbe invece tutelare i diritti delle donne e degli uomini vittime del commercio sessuale. Questo è ciò che accade in Paesi come la Svezia, la Francia e la Repubblica d’Irlanda, che hanno adottato il modello abolizionista, in cui vengono criminalizzati coloro che creano la domanda, cioè i clienti.
Perché l’approccio abolizionista ha molto meno seguito rispetto a quello che reclama la libertà di prostituirsi?
Perché esiste la convinzione che ci saranno sempre uomini che pagano per il sesso e donne che lo vendono. La prostituzione, insomma, appare ‘necessaria’ e in qualche modo un ‘diritto’ del consumatore. I liberali sostengono inoltre che la depenalizzazione di tutte le modalità della prostituzione, compresi i bordelli, renda più sicure le donne e più facile sradicare gli abusi e lo sfruttamento. In quest’ottica i ‘sex workers’ possono essere protetti dai sindacati e da provvedimenti di sicurezza e sanità. Negli ultimi anni, questi argomenti purtroppo si sono fatti strada. Nel 2000 l’Olanda ha formalizzato ciò che era già culturalmente accettato, revocando il divieto ai bordelli e liberalizzando il commercio sessuale. Tre anni dopo, il governo neozelandese ha approvato, con un solo voto, la legge che ha completamente depenalizzato la prostituzione di strada e le case chiuse.
Cosa sostengono invece gli abolizionisti, categoria alla quale lei appartiene?
Gli abolizionisti respingono la descrizione provocatoria di ‘sex work’ e riconoscono che la prostituzione è violenza in un mondo neoliberale in cui la carne umana è diventata una merce, e sfruttamento unilaterale che affonda le radici nel potere maschile. Ritengono che la strada giusta sia aiutare le donne a uscire dal commercio sessuale e criminalizzare la domanda.
Anche il femminismo è diviso sulla posizione da tenere. Perché?
Il problema è che il termine ‘lavoratore del sesso’, coniato negli anni ’80 e oggi sempre più utilizzato dalla polizia, dagli operatori sanitari e dai media, comprende chiunque: pornografi, spogliarellisti e magnaccia, così come coloro che vendono sesso. Negli ultimi dieci anni o più, la discussione sulla prostituzione è stata dominata dai criminali e dagli sfruttatori che gestiscono il commercio sessuale, mascherati da benevoli imprenditori e protettori. Le femministe liberali di tutto il mondo sono state ingannate da una lobby industriale potente e ben finanziata, che impone la sua narrazione, occulta la violenza subita dalle donne e riduce la prostituzione a un lavoro come un altro allo scopo di decriminalizzare l’industria del sesso.
Come si possono contrastare, dunque, le lobby del sesso a pagamento e ridare voce alle vittime?
Fortunatamente un numero crescente di Paesi sta considerando il modello abolizionista. Le organizzazioni femministe guidate da sopravvissute al commercio sessuale, come Space International, affermano la verità dei fatti, al contrario degli sfruttatori e dei propagandisti: la prostituzione è violazione dei diritti umani. L’ascesa del movimento abolizionista farà sì che siano ascoltati e creduti coloro che hanno fatto parte del commercio sessuale e ne sono usciti, piuttosto che coloro che traggono profitto o comunque beneficiano della vendita di carne femminile.
Nel suo libro l’universo maschile rimane sottotraccia. Non pensa che a un certo punto diventerà indispensabile cercare l’alleanza con gli uomini per combattere la prostituzione?
Sì, gli uomini devono esprimersi contro il commercio sessuale e riconoscere che è una causa e una conseguenza dell’oppressione delle donne.