Il dibattito . Riceviamo e pubblichiamo un ulteriore contributo sulla questione del sex work. La discussione è emersa in seguito a un reportage pubblicato su il manifesto “L’emergenza umanitaria del lavoro sessuale”
Cara Redazione,
invece di dare l’adeguato spazio alle esperienze, relazioni, riflessioni del movimento neo abolizionista purtroppo in alcuni articoli da voi pubblicati se ne travisano le posizioni.
Soprattutto io e altre donne ma anche degli uomini che fanno parte del movimento neo abolizionista siamo contro la prostituzione, non contro chi viene prostituita. Abbiamo relazioni e sosteniamo il movimento delle sopravvissute alla prostituzione, come ad esempio Rachel Moran e SPACE INTERNATIONAL.
Conosciamo direttamente donne di origine straniera che sono state portate in Italia con la tratta e sappiamo i problemi per liberarsene e la gioia quando vi riescono. Conosciamo le donne che si rivolgono ai centri antiviolenza e anche di questo parlano.
Riteniamo la legge Merlin un grande passo di civiltà e la difendiamo contro le cattive interpretazioni, come argomenta la costituzionalista Silvia Niccolai in Né sesso né lavoro, Politiche sulla prostituzione (VandA, 2019). Lottiamo contro le sue revisioni che, fingendosi libertarie, rendono libero lo sfruttamento della prostituzione altrui, come risulta dall’attento esame dell’avvocata Grazia Villa nello stesso libro
Siamo contro il sex work.
Per sesso io ho sempre inteso poter scegliere il partner con cui stare e come farlo per avere un piacere reciproco, altrimenti è stupro a pagamento, titolo del libro di Rachel Moran (Round Robin, 2017). Mi sembrava che fosse una posizione condivisa nella sinistra e con i movimenti omosessuali e trans.
Non si rende dignitoso lo sfruttamento chiamandolo lavoro. È un vecchio trucco. Anche gli schiavisti dicevano che sarebbe bastato chiamare gli schiavi assistenti di piantagione per far cessare le lotte abolizioniste. Ma allora il movimento operaio inglese e le femministe non ci sono cascati. Ho lottato e lotto per un’idea di lavoro dove si pongano dei limiti al mercato, ad esempio che l’interno del mio corpo non sia vendibile. E che nessuna sia costretta a farlo per potersi mantenere. Uso il femminile perché non mi piace nascondere che la stragrande maggioranza è donna.
I modi e il senso del mio essere donna è una ricerca libera e quotidiana, rafforzata da donne e uomini che scelgo e stimo. Non mi hanno mai aiutato i vari apprezzamenti di un maschio qualsiasi su pezzi del mio corpo e neppure i fischi, come fossi un cane, oggi sempre più in disuso.
Mi documento su quello che succede nei paesi dove la regolamentazione come in Germania e la decriminalizzazione come in Nuova Zelanda hanno permesso guadagni all’industria prostitutiva, rendendo più povere le prostituite Vedi ad esempio, Julie Bindel, Il mito pretty woman (Vanda, 2019).
Luciana Tavernini della Libreria delle Donne di Milano