“Il mercato è fatto così: ne fa sempre una questione di soldi, riconduce tutto alla misura universale del denaro”, così inizia “Temporary mother” di Marina Terragni per riflettere su come oggi la maternità a pagamento sia un colossale giro d’affari da almeno 3 miliardi di dollari.
Se inizialmente la surrogacy poteva sembrare un mezzo di liberazione per le donne oggi, anche secondo i possibilisti, le donne non si sono affatto liberate, anzi sono diventate mezzi di produzione.
Invece di riflettere su come la libertà riproduttiva delle donne sia oppressa ovunque e di come ciò infici sulla possibilità di avere o meno figli ci affidiamo al capitalismo perché ci fornisce la soluzione dimenticando che ha anche creato il problema.
Quei figli che non ci è consentito avere possiamo sempre comprarli. Basta pagare.
Leggine un estratto…
“Tante di noi resistono all’idea della maternità per contratto e
per soldi, e si dicono invece possibiliste sull’“utero” solidale.
L’associazione Arcilesbica ne parla in un documento dove
si dice che la GPA “se realizzata per solidarietà è altruistica, se
si dà per un compenso è commerciale. La GPA può sussistere
nel momento in cui risulta essere un atto volontario, per sottolineare
questa volontarietà è necessaria la gratuità, anche
economica, del gesto…”.
Gratuità che peraltro si realizza solo in un numero pressoché
insignificante di casi: normalmente si tratta di una transazione
economica.
Anche in quei paesi, come il Canada, dove la legge riconosce
alle gestanti per altri un’indennità comprensiva del rimborso
delle spese mediche, si tratta in realtà di un compenso a
tutti gli effetti. Le donne si offrono per avere quei soldi.
Secondo Arcilesbica, il fatto che in una GPA non passi denaro
costituirebbe una garanzia sufficiente. La faccenda mi
pare più sottile.
Chiedere a una donna che si offra gratis o
quasi gratis per il suo biolavoro è farle una richiesta molto
ambigua. Su questa “generosità” è costruito tutto il marketing
delle agenzie che vendono surrogacy – ci torneremo più
avanti. Ma il punto è un altro.
La madre di mio padre lavorava, e aveva dato “a balia” il
suo bambino neonato. Com’era giusto, le balie da latte ricevevano
un compenso per il loro dono prezioso: si trattava in
genere di donne povere a cui quei soldi facevano comodo.
Mio padre fu sempre affezionato alla sua balia e ai figli di lei
che chiamava, come si diceva allora, fratelli di latte: c’era un
lessico affettuoso che conferiva esistenza simbolica a quelle
relazioni. Con lei e con quei fratelli rimase sempre in legame.
Lì passavano soldi, ma la relazione rimaneva al centro.
Oggi le balie da latte non esistono quasi più, ma esistono
donne, spesso straniere, che affiancano o sostituiscono la madre
nel lavoro di cura della creatura e per questo ricevono un
compenso. Si tratta in questo caso di accudimento, di nutrimento
affettivo e non del latte. Anche qui i soldi non surrogano
la relazione, sono solo una componente della relazione,
dalla quale peraltro la madre non scompare.
In questione non è nemmeno il quanto, come tante e tanti
ritengono: e allora la cosa va bene se si tratta di un semplice
rimborso, non va bene se è un canone di locazione pieno.
Si tratta piuttosto di capire che cosa si compra, con quei
soldi. Se si compra il diritto di rompere la relazione e fare
sparire la madre dalla vita della creatura. Se i soldi diventano
un sostituto, un surrogato di quella relazione.
Vero che in una GPA autenticamente solidale io quella
donna non dovrei pagarla. Ma potrei decidere di farle un
gran dono, o anche di darle dei soldi: il fatto non è questo.
Quello che conta è che io non paghi quella donna perché
sparisca e si lasci cancellare dalla vita della creatura e dalla
mia. Che io non pretenda di surrogare quella relazione con il
denaro.
Il modello potrebbe essere quello di una libera relazione
tra due donne, come nel caso delle balie da latte, in cui nessuna
debba scomparire dalla vita della creatura e dell’altra
madre. Una relazione in cui la gestante accetti il rischio e la
gioia di quella relazione possibilmente per la vita, e non solo
di offrire per nove mesi il suo grembo. In questo modo non
sparirebbe la madre. Sparirebbe invece la gran parte dei problemi che pesano sulla vita di questi bambini. Sarebbe chiaro
da subito com’è andata. E che loro sono i figli fortunati di un
plus d’amore.
Per Rosemarie Tong il problema non sta nella GPA in sé,
ma nell’uso che ne viene fatto in un contesto patriarcale: “La
maternità surrogata diventa fonte di sfruttamento se gli uomini
hanno il controllo delle regole, dei tribunali, del corpo
delle donne”, dice. “L’etica femminista richiede che le donne
denuncino, resistano, e sconfiggano questi e altri tipi di controlli
di stampo patriarcale. Solo allora saremo in grado di
poter determinare se la maternità gestazionale abbia realmente
un futuro come una modalità di riproduzione veramente
collaborativa – un processo che aumenti la libertà e la felicità
delle donne che scelgono di aiutarsi le une con le altre per
avere un figlio” (Nuove maternità).
Quando sono gli uomini a decidere, quando le leggi, e in
particolare le leggi di mercato, sono le loro, apri la porta all’utero
“etico e solidale” e di lì passerà il business della GPA
commerciale: di tutto viene fatto profitto.
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