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Carla Lonzi – Sputiamo su Hegel

“L’oppressione della donna non inizia nei tempi, ma si nasconde nel buio delle origini. L’oppressione della donna non si risolve nell’uccisione dell’uomo. Non si risolve nell’uguaglianza, ma prosegue nell’uguaglianza. Non si risolve nella rivoluzione, ma prosegue nella rivoluzione. Il piano delle alternative è una roccaforte della preminenza maschile: in esso non c’è posto per la donna. L’uguaglianza disponibile oggi non è filosofica, ma politica: ci piace, dopo millenni, inserirci a questo titolo nel mondo progettato da altri? Ci pare gratificante partecipare alla grande sconfitta dell’uomo? Per uguaglianza della donna si intende il suo diritto a partecipare alla gestione del potere nella società mediante il riconoscimento che essa possiede capacità uguali a quelle dell’uomo. Ma il chiarimento che l’esperienza femminile più genuina di questi anni ha portato sta in un processo di svalutazione globale del mondo maschile. Ci siamo accorte che, sul piano della gestione del potere, non occorrono delle capacità, ma una particolare forma di alienazione molto efficace. Il porsi della donna non implica una partecipazione al potere maschile, ma una messa in questione del concetto di potere. E’ per sventare questo possibile attentato della donna che oggi ci viene riconosciuto l’inserimento a titolo di uguaglianza. L’uguaglianza è un principio giuridico: il denominatore comune presente in ogni essere umano a cui va reso giustizia. La differenza è un principio esistenziale che riguarda i modi dell’essere umano, la peculiarità delle sue esperienze, delle sue finalità, delle sue aperture, del suo senso dell’esistenza in una situazione data e nella situazione che vuole darsi. Quella tra donna e uomo è la differenza di base dell’umanità. L’uomo nero è uguale all’uomo bianco, la donna nera è uguale alla donna bianca. La differenza della donna sono millenni di assenza dalla storia. Approfittiamo della differenza: una volta riuscito l’inserimento della donna chi può dire quanti millenni occorrerebbero per scuotere questo nuovo giogo? Non possiamo cedere ad altri la funzione di sommuovere l’ordinamento della struttura patriarcale. L’uguaglianza è quanto si offre ai colonizzati sul piano delle leggi e dei diritti. E quanto si impone loro sul piano della cultura. E’ il principio in base al quale l’egemone continua a condizionare il non-egemone. Il mondo dell’uguaglianza è il mondo della sopraffazione legalizzata, dell’unidimensionale; il mondo della differenza è il mondo dove il terrorismo getta le armi e la sopraffazione cede al rispetto della varietà e della molteplicità della vita. L’uguaglianza tra i sessi è la veste in cui si maschera oggi l’inferiorità della donna. Questa è la posizione del differente che vuole operare un mutamento globale della civiltà che l’ha recluso. Abbiamo scoperto non solo i dati della nostra oppressione, ma l’alienazione che è scaturita nel mondo dall’averci tenute prigioniere. La donna non ha più un appiglio, uno solo, per aderire agli obiettivi dell’uomo. In questo nuovo stadio di consapevolezza la donna rifiuta, come un dilemma imposto dal potere maschile, sia il piano dell’uguaglianza che quello della differenza, e afferma che nessun essere umano e nessun gruppo deve definirsi o essere definito sulla base di un altro essere umano e di un altro gruppo.”

(Carla Lonzi, Sputiamo su Hegel)

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Le difensore dei diritti delle donne incarcerate da due anni – Michela Fontana

Michela Fontana

28 maggio 2020

Sono passati poco più di due anni da quando, il 15 maggio 2018, tredici attiviste saudite sono state incarcerate per le loro pacifiche lotte per il diritto alla guida dell’automobile (concesso dal re alle donne nel giugno successivo) e per la modifica della norma sul guardiano, che in Arabia Saudita ha potere assoluto sulla donna di cui è tutore.  Cinque di loro sono ancora in carcere , mentre otto sono state liberate, pur rimanendo tutte  in attesa di processo. Alcune di loro sono state torturate e sottoposte ad abusi. Lo ricorda un comunicato di Amnesty International  del 15 maggio scorso, dove l’organizzazione per i diritti umani chiede la scarcerazione delle attiviste e degli altri attivisti  che sono stati imprigionati nello stesso periodo. 

Durante la mia permanenza in Arabia Saudita, dal 2010 al 2013 ho  incontrato e intervistato tre delle attiviste incarcerate,  Eman al- Nafjan,  Aziza al- Yousef, Hatoon al-Fassi. Racconto le loro storie insieme a quelle di molte altre donne di diverse  estrazioni sociali ed esperienze di vita, nel mio libro Nonostante il velo ( VandA epubishing-Morellini ), premio Femminile Plurale di Allumiere 2018, attualmente in libreria nella versione riveduta.

Le loro testimonianze appassionate, a volte sconvolgenti,  fanno luce dall’interno su una società come quella saudita che considera le donne proprietà degli uomini e le priva di molti diritti elementari. Eman al-Nafjan è stata mia amica, preziosa  testimone  e compagna di viaggio  durante la nostra spedizione nella parte più conservatrice del paese dove anch’io dovevo girare con il viso interamente coperto. Poco dopo la mia partenza nel 2013, due delle donne che ho intervistato Roua e Omaima, sono fuggite dal paese, la prima ha trovato asilo politico in Canada la seconda in Italia,  che ha lasciato da poco per l’Irlanda.

Anche se a partire  dal 2018, l’erede al trono Muhammed Bin Salman, ha alleggerito alcuni divieti sociali, limitando tra l’altro  il potere della polizia religiosa  e ha concesso alle donne alcune libertà prima impensabili, come la possibilità di andare allo stadio con la famiglia e di viaggiare  senza il permesso del guardiano, l’Arabia Saudita rimane uno stato di polizia dove gli attivisti rischiano l’incarcerazione a vita o  la stessa vita, come il giornalista Jamal Khashoggi, barbaramente assassinato nel consolato saudita a Istanbul nel 2018. La strada per una vera emancipazione delle donne è ancora lunga e difficile.

Acquistate “Nonostante il velo. Donne dell’Arabia Saudita” di Michela Fontana qui.
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Nonostante il velo. Il reportage emozionale di Michela Fontana


L’angolo di Key (12 febbraio 2019)


– Vi siete mai chiesti chi si nasconde dietro ad un velo, quando incontrate una donna che lo indossa?

Vi siete mai chiesti chi si nasconde dietro ad un velo, quando incontrate una donna che lo indossa?
Che storia si cela, qual è il suo pensiero. Sono tutte domande che a me, personalmente, vengono in mente quando mi trovo di fronte ad una donna che indossa questo simbolo. Si tratta dell’ hijab, un velo nero che nasconde i capelli, le orecchie e la testa.
E come vive quella donna, nonostante indossi il velo?
Il libro che leggete nel titolo ce lo svela.
L’intervista e la recensione che vado a presentarvi mi hanno conquistata molto. Perché il libro mi ha conquistata, e sono sicura che piacerà anche a voi. Specialmente se amate libri scritti bene da croniste che con la professionalità e l’etica giornalistica raccontano storie, culture e vite a noi lontane, ma che meritano la nostra attenzione.
Il libro in questione è “Nonostante il velo” di Michela Fontana, edito da VandA ePublishing.

Un libro corposo ma per nulla pesante, come la fattezza potrebbe far pensare.
È a dir poco strepitoso. Scritto divinamente da una brava (lo si capisce dal tipo di scrittura) cronista che con eleganza, intelligenza e rispetto, è entrata in punta di piedi in una società culturalmente ostica alle donne, come quella araba, e ha saputo raccontarla al meglio.
Un approfondimento giornalistico bene accurato, che non tradisce l’umanità della donna-giornalista Michela Fontana.
Si legge benissimo. Pur non conoscendo la sua voce, è come se leggendolo fosse davvero lei, Michela, a raccontare le donne che ha incontrato.

Insieme con l’autrice vorrei approfondire alcuni aspetti, per cui ecco la nostra chiacchierata:

Michela, due anni vissuti a Riad inseme a suo marito che era lì per lavoro. Cosa le è rimasto di quella esperienza una volta rientrata in Europa?
Mi è rimasto un legame ideale con le donne saudite, molte delle quali ho trovato coraggiose, intelligenti e pronte a vivere nel futuro. Mi è anche rimasta una maggiore comprensione di cosa significhi vivere in un paese islamico conservatore e come sia difficile per le saudite emanciparsi  davvero dalle loro tradizioni patriarcali. In effetti noi diamo per scontato che il nostro modello di vita occidentale sia attraente, ma per molte donne che ho intervistato la nostra libertà non è necessariamente considerata un valore positivo. La  realtà della società saudita è molto più complessa e contraddittoria dei luoghi comuni basati su conoscenze superficiali.

Che significato hanno in quelle terre i concetti di intraprendenza e
evoluzione al femminile?
In Arabia Saudita oggi direi che essere intraprendente per una giovane donna significa voler studiare, cercare un lavoro e aspettare a sposarsi per poter finire gli studi. Vuol anche dire resistere alle pressioni famigliari per avere molti figli e cercare di avere una certa indipendenza economica. Naturalmente la società saudita è variegata e ci sono famiglie ancora estremamente conservatrici. Insomma, non tutte le donne saudite vogliono mettersi al volante o fare a meno del loro “guardiano” (padre marito fratello), che ha potere assoluto su di loro. Questo però lentamente cambierà e sempre più donne vorranno “ emanciparsi” senza però andare contro i dettami della loro cultura religiosa.

C’è una storia o una donna che più di altre le è rimasta impressa nel
cuore e nella mente?
Faccio fatica a scegliere, perché molte di loro mi hanno colpito. Ripenso spesso a Wadha, a cui dedico il capitolo In fuga verso la libertà , che è fuggita dal paese per sottrarsi alle violenze che subiva da parte del padre e ora ha trovato asilo politico in Canada, proprio come  ha fatto recentemente la giovane Rahaf Al Muhammed al Qunun di cui hanno parlato tutti i giornali, dopo che si era barricata nell’ aeroporto di Bangkok. A differenza della diciottenne Rahaf, però, Whada ha più di trentanni ,ha pianificato la fuga in due anni, senza clamore o pubblicità, con molta paura, molti rischi e molta sofferenza.

Quanto tempo ha impiegato a scrivere Nonostante il velo? C’è stato
qualcosa che la preoccupava nella stesura del libro?
Ho svolto le mie interviste durante i due anni di soggiorno a Riad e ho impiegato circa un anno a scrivere  il libro. Quello che mi preoccupava era di comunicare al meglio quanto avevo sentito e vissuto durante la mia esperienza, senza tradire il desiderio delle donne saudite di essere comprese e ascoltate. Ho cercato di non fare trapelare il mio punto di vista (anche se immagino si possa percepire tra le righe) o di dare giudizi, ma di fornire il contesto e le informazioni storiche affinché la lettrice/lettore possa giudicare da solo. Ho cercato di fare ciò che penso un giornalista o uno storico dovrebbe idealmente fare.

Ci sono altre culture che vorrebbe esplorare, capire e raccontare in un
altro libro?
Mi interessano soprattutto le culture diverse dalla nostra, perché rappresentano una sfida alla comprensione e ai luoghi comuni. Sono stimolata a scrivere soprattutto quando vivo in un paese per motivi di lavoro. Quando ho vissuto in Cina ho studiato la storia cinese e  ho scritto la biografia  di Matteo Ricci, un gesuita vissuto in Cina tra cinquecento e seicento, il primo mediatore culturale tra Cina ed Europa (Padre Matteo Ricci, nato a Macerata, la mia Regione – ndr). Forse oggi mi piacerebbe conoscere più a fondo il Giappone, un antica civiltà che conserva le tradizioni pur essendo totalmente immerso nella modernità.

Bello davvero. Da giornalista, vorrei saper scrivere e raccontare storie come lei.


 

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Commento di Michela Fontana alla situazione femminile in Arabia Saudita


di Michela Fontana (gennaio 2018)


Nonostante il velo (Morellini – VandA.ePublishing 2018)

Cosa succede alla “questione femminile” in Arabia Saudita? Paradossalmente le riforme messe in atto dal principe ereditario Muhammed bin Salman, accolte positivamente dalle opinioni pubbliche saudite e internazionali, come la concessione alle donne di guidare l’automobile, di assistere – nel settore riservato alle famiglie – alle partite di calcio, di ricevere un sms quando il marito ha deciso di divorziare (prima non veniva nemmeno loro notificato), mettono ancora più in evidenza la mancanza di libertà delle donne, ancora oggi costrette a dipendere legalmente tutta la vita da un guardiano (padre, marito, parente maschile o giudice islamico), che poi è spesso l’autore di soprusi e violenze su di loro. Le donne sono ancora oggi costrette a sottostare ad una cultura e una religione patriarcale che le considera proprietà dell’uomo. Lo dimostra in modo clamoroso la vicenda della diciottenne saudita Rahaf Mohammed al-Qunun , figlia di un funzionario governativo che la sottoponeva a violenze, fuggita durante un viaggio in Kuwait e fermata all’aeroporto di Bangkok per essere rispedita a casa . La giovane, dopo essersi barricata in una stanza di hotel in aeroporto, e avere lanciato disperate richieste di aiuto e di asilo politico via twitter (ulteriore prova che per le saudite internet è realmente rivoluzionaria) è ora sotto la protezione del governo Tailandese e della UNCHR (l’ente delle Nazioni Unite preposto alla protezione dei rifugiati). Non solo, ma la giovane donna ha avuto anche l’ardire di infrangere un divieto assoluto, ovvero di dichiarare che rinuncia all’Islam, dimostrando così di capire bene il ruolo della religione, come viene professata in Arabia saudita, nel giustificare l’ oppressione femminile. Un presa di posizione molto coraggiosa dal momento che l’apostasia in Arabia Saudita e in molti paesi islamici può essere punita con la morte.
Un caso limite? Assolutamente no. Sono molte le donne saudite sottoposte a violenze di vario genere in famiglia che cercano di lasciare il paese. E fuggono anche molte attiviste , temendo di essere imprigionate, e di sparire nelle carceri senza avere nemmeno assistenza legale. Io ho conosciuto bene molte donne che hanno vissuto vicende drammatiche. Wadha, una quasi trentenne fuggita da un padre che la picchiava selvaggiamente e la chiudeva in casa per mesi se la scopriva al telefono con un amico che, dopo una fuga rocambolesca attraverso il Bahrein e Londra, ha raggiunto il Canada dove ha ottenuto asilo politico. Oppure Omaima, una attivista per i diritti umani e medico che , temendo di essere imprigionata per le sue posizioni femministe, (come Eman El Nafjan, attivista per i diritti alla guida in prigione senza processo dallo scorso maggio) è arrivata in Italia dalla Cina, dove si trovava per studiare e ha ottenuto asilo politico nel nostro paese. Potete leggere le storie di Eman, Omaima, Wadha, e molte altre ancora, nel mio libro Nonostante il velo (Morellini – VandA.ePublishing) nella nuova edizione attualmente in libreria.

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Intervista a Michela Fontana


RSI (lunedì 10 dicembre 2018)


– Donne in Arabia Saudita.

Uno dei Paesi dove le donne sono in maggiore difficoltà è l’Arabia Saudita. La scrittrice Michela Fontana ha presentato uno spaccato della realtà quotidiana e della situazione attuale completo ed esauriente.
Grazie ai due anni passati a Riad, Michela Fontana ha potuto conoscere bene la realtà saudita, soprattutto quella femminile. Nel suo libro-inchiesta “Nonostante il velo. Donne dell’Arabia Saudita“, attraverso lo sguardo delle donne, l’autrice racconta i paradossi e le ambiguità del paese che ha ispirato alcuni dei più pericolosi movimenti fondamentalisti, fornendo una chiave di lettura per interpretare un mondo islamico che fatichiamo a comprendere, semplicemente perché non lo conosciamo.
Michela Fontana è stata la vincitrice, nel novembre 2018, della prima edizione del Premio Letterario Allumiere.
L’autrice è stata intervistata il 10 dicembre dalla Radio Svizzera Italiana nella trasmissione Alba Chiara.

Qui potete trovare l’intervista.


 

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Le motivazioni del Premio Letterario Femminile Plurale a Michela Fontana per Nonostante il velo


Nonostante il Velo: Donne dell’Arabia Saudita
di Michela Fontana, Vanda-epublishing, giugno 2018

Nonostante il velo di Michela Fontana è un lungo, affascinante viaggio in una società e in una cultura, quella dell’Arabia Saudita, di cui sappiamo ben poco, nonostante il paese rivesta un ruolo fondamentale e delicatissimo nello scenario geopolitico contemporaneo. Tra i tanti divieti imposti alle donne nei paesi islamici c’è anche quello di guidare. Un’azione che molte di noi compiono quotidianamente senza pensare che sia un diritto, un’azione negata ad altre donne come noi per cui la repressione di genere è talmente alta da impedirne addirittura la mobilità. Il 6 novembre 1990 a Riad viene organizzata una manifestazione per il diritto alla guida per le donne. Aisha, una delle promotrici della protesta, viene allontanata dalla capitale saudita. Nel 2011 la ribellione si riaccende grazie a una nuova generazione di attiviste che sfruttano anche i mezzi di comunicazione globale di cui disponiamo oggi grazie all’evoluzione di internet. Michela Fontana, attraverso la voce di undici donne dell’Arabia Saudita racconta la loro lotta e le loro paure, la loro storia, il loro quotidiano e la straordinarietà di una disubbidienza che è appannaggio soprattutto delle donne più abbienti di Riad che possono contare sulla copertura della famiglia, donne ritenute eversive dal governo e spesso allontanate.

Motivazione
Nominare, rinominare le cose per farle esistere: questo dovrebbe essere uno dei compiti della letteratura. Sottrarre all’oblio volti, storie, i nomi che nessuno pronuncia, per riconsegnarli infine al presente, con la forza della narrativa e dell’inventiva. Oppure con l’inchiesta, con la scrittura giornalistica. Michela Fontana, attraverso la testimonianza diretta di alcune donne saudite – l’Arabia Saudita resta un paese sconosciuto, anche perché impenetrabile, un vero e proprio inghiottitoio per le donne che devono confrontarsi con la proibizione, la vessazione, la sottoposizione a un guardiano che non si distrae mai – ci racconta da una prospettiva che ha a che fare con la quotidianità (una quotidianità che talvolta diviene intima) come proprio le donne si siano fatte portatrici di una clamorosa istanza di rinnovamento, sfidando con coraggio il proprio tempo e uscendone sì segnate, ma non sconfitte. Come richiede una scrittura di testimonianza, la lingua che sceglie l’autrice per raccontare di queste donne è schietta e sincera. A questa chiarezza di fondo contribuisce un utile glossario di servizio che spiega i tanti termini arabi che costellano il racconto-reportage. Michela Fontana ha anche uno spiccato interesse per l’onomastica araba, come spiega fin dalle prime pagine, e si preoccupa di tradurre sistematicamente il significato dei nomi delle donne che costituiscono il coro di voci di Nonostante il velo. Aisha, Nura, Hessa e le altre donne saudite, con le loro testimonianze, ci restituiscono un quadro sfaccettato e autentico della condizione della donna in uno dei Paesi islamici più repressivo, invitandoci a riflettere anche sulla condizione della donna in Italia, in una prospettiva femminile e plurale. Un grande paradosso aleggia intorno a questo libro: le donne che con i loro racconti hanno dato vita a Nonostante il velo non possono leggerlo, perché in Arabia Saudita è haram, cioè proibito. Il taglio di questa opera è veramente femminile e plurale : una donna che guarda, interroga, racconta da vicino altre donne, diverse da lei e fra loro per classe sociale, temperamento, esperienze di vita. Il calore del racconto in prima persona e la vividezza del reportage si alternano alla chiarezza del resoconto storico; seguiamo le vicende politiche di un intero paese, ma entriamo anche nelle case e negli ambienti di lavoro di chi lo abita, e soprattutto vediamo e ascoltiamo le protagoniste: donne più o meno giovani, più o meno ribelli, più o meno privilegiate. Mescolando con mano sicura memoir e giornalismo, Michela Fontana ha saputo creare un ritratto collettivo delle donne saudite pieno di dettagli e sfaccettature, lontano dai cliché e dalle generalizzazioni: in un’epoca in cui sembra sempre più difficile trovare chi guarda l’Altro da Sé con reale curiosità, il suo sguardo attento e rispettoso – ma anche lucidamente critico – e la sua scrittura precisa e mai banale sono strumenti preziosi di indagine e comprensione del mondo. Un lavoro meticoloso, empatico a tratti, condotto entrando nelle case, sedendo alle tavole, raccogliendo gli umori di professioniste, studentesse, attiviste, islamiste, scrittrici, mogli, madri – che ci aiuta a far luce su una delle tante prove a cui le donne sono costrette nella loro storia universale, e che faremmo bene a recuperare al nostro immaginario, perché il medioevo dei diritti non è mai scongiurato una volta per tutte.

Motivazione Primo Classificato 2018 – Premio Letterario Allumiere