Cristina Luzzi, dottoranda in Giustizia costituzionale e diritti fondamentali nell’Università di Pisa, ha scritto una brillante recensione di Né sesso né lavoro. Politiche sulla prostituzione di Daniela Danna, Silvia Niccolai, Grazia Villa e Luciana
Tavernini. Luzzi analizza il fenomeno della prostituzione in chiave giuridica, offrendo nel suo pezzo molti spunti interessanti.
Ecco un estratto:
In un crescente e affollato dibattito politico e giurisprudenziale sull’autodeterminazione femminile le autrici di Né sesso né lavoro. Politiche sulla prostituzione consegnano al panorama nazionale giuridico, e non solo, una visione unitaria del fenomeno della prostituzione. Il libro muove da una critica alle opinioni secondo le quali la vendita della propria intimità costituisce una libera scelta della donna, opinioni che sottovalutano o rimuovono il peso che condizionamenti, economici ma anche psicologici, esercitano su questa ed altre scelte della persona. […] Nel tentativo di contrastare la tratta e la prostituzione minorile, favorendo solo la prostituzione “cosciente e responsabile”, si riscontra in questi casi una depenalizzazione delle diverse condotte riconducibili allo sfruttamento della prostituzione, accompagnata da una regolamentazione più o meno stringente su requisiti d’accesso e luogo di svolgimento dell’attività. In altre parole, si assiste a un processo di normalizzazione del “mercato del sesso”, in riferimento al quale il linguaggio svolge da subito un ruolo chiave. Non si parla, infatti, di sesso ma di “servizio sessuale”; non di prostituzione, ma di “sex work”, nonostante il grado di ambiguità che circonda tale espressione e che spinge a ricondurvi le più diverse prestazioni sessuali (da quelle che prevedono il contatto sessuale più brutale a quelle che lo escludono, come le telefonate erotiche o la condivisone di video e immagini via webcam, accomunate a ben vedere soltanto dalla capacità di consentire presumibilmente il raggiungimento del piacere per colui che ne usufruisce).
Daniela Danna è ricercatrice in Sociologia generale all’Università degli Studi di Milano (dove insegna Politiche sociali e tiene un Laboratorio sociologico sul tema delle dinamiche della popolazione). Da scienziata sociale storica si è occupata – leggendo, scrivendo, insegnando, e a volte facendo più direttamente politica – di questioni di genere, lesbismo e omosessualità , violenza contro le donne, politiche sulla prostituzione, maternità surrogata, analisi dei sistemi-mondo, decrescita, teorie sulla popolazione, rapporti società ambiente.
Sabato 10 luglio 2021 sul quotidiano La Verità è uscita una importante intervista a Daniela Danna, autrice del libro La piccola principe
«“Genere” riguarda la vita sociale, le aspettative che abbiamo nell’avere a che fare con una persona di sesso maschile o femminile che ci sono dettate dalla cultura, che cambia. “Sesso” è la base biologica che da centinaia di migliaia di anni, dalla nostra origine distingue l’umanità nei due gruppi, i sessi appunto, necessari alla procreazione. Ci sono solo due gameti, ovulo e spermatozoo per cui ci sono solo due sessi. Il genere è molto più variabile nelle diverse culture e nella storia. Io suggerirei di continuare nel solco dell’analisi femminista che ha liberato le donne dagli stereotipi di genere, che sono gli stereotipi sociali legati al nostro sesso. Se si usano le due parole come sinonimi, si nega che ci sia una differenza tra ciò che la societ culturalmente richiede a maschi e femmine e la realtà biologica sottostante. Lo fanno spesso in inglese, dove sui documenti si indica il “gender ” – intendendo il sesso -, ma non è una ragione per introdurre questa confusione in italiano». Daniela Danna
Sul trimestrale Vite all’opera nelle maglie della pandemia di Autogestione e politica prima (N.1/2021 gennaio marzo 2021-anno XXIX) è uscita una bella recensione di Sex work. Né sesso né lavoro di Daniela Danna, Silvia Niccolai, Luciana Tavernini e Grazia Villa, scritta da Ana Mañeru Mendez.
“Eccoci con due nuove proposte di libri, editi da VandA. Scavando tra i miti e i racconti più noti e riscrivendoli in chiave femminista compaiono molte prospettive nuove. Il saggio di Daniela Danna, LA PICCOLA PRINCIPE – Lettera alle giovanissime su pubertà e transizione (VandA epublishing, 2018) affronta con delicatezza e competenza temi complessi su sesso, genere, identità e modificazioni: tutti argomenti che oggi ci stanno molto a cuore e richiedono un lavoro aperto di comprensione. Giuseppina Norcia, nel testo misto di saggi e di invenzioni creative “A proposito di Elena” (Vanda, aprile 2020) esplora e fa rivivere la figura affascinante e ambivalente della magnifica donna (o dea?) “di Troia e di Sparta” e invita a comprendere le sue molte facce e a muoversi tra i suoi misteri cercando nuovi significati della bellezza e della libertà, oltre gli schemi patriarcali.”
Su Volerelaluna è uscito un articolo di Valentina Pazé a proposito della problematica legata alla denuncia di abbandono dei e delle sexworker durante l’emergenza sanitaria e il lockdown del Paese, che presenta bene la posizione di Luciana Tavernini, Silvia Niccolai, Daniela Danna e Grazia Villa, autrici di Né sesso né lavoro.
Eccone un estratto:
“Tra i settori economici che sono stati certamente penalizzati dal lockdown c’è anche il mercato del sesso. Lo ricorda, su il manifesto del 12 maggio, Shendi Veli (https://ilmanifesto.it/lemergenza-umanitaria-del-lavoro-sessuale/) , denunciando l’abbandono in cui sono stati lasciati i e le sex worker (di cui parlerò d’ora in poi al femminile, data la netta prevalenza delle donne nel settore) durante la pandemia. E riproponendo le classiche rivendicazioni dei movimenti per la “decriminalizzazione”: dal riconoscimento della prostituzione come attività lavorativa in piena regola alla legalizzazione delle attività collaterali, come il favoreggiamento, che nel nostro paese è un reato che viene talvolta contestato anche a chi affitta la casa a una prostituta o abita con lei (secondo un’interpretazione peraltro scorretta della legge Merlin, criticata da Silvia Niccolai in AA.VV., Né sesso né lavoro. Politiche sulla prostituzione, Milano 2019, pp. 70-117).
Intervenendo su 27esima ora del 22 maggio (https://27esimaora.corriere.it/20_maggio_22/prostituzione-lavoro-o-sfruttamento-b8170e3c-9bd6-11ea-aab2-c1d41bfb67c5.shtml), Luciana Tavernini mostra l’altra faccia della medaglia: «Chiamare la prostituzione lavoro è un modo per convincere che tutto, perfino l’accesso all’interno del nostro corpo, può e deve essere venduto e al massimo possiamo lottare per alzare il prezzo. È un vecchio trucco cancellare lo sfruttamento col nome di lavoro». E dunque, anziché chiedere di legalizzare le attività di coloro che guadagnano dalla prostituzione altrui, bisognerebbe attuare quella parte della legge Merlin che prevede formazione e inserimento lavorativo per le donne che desiderano cambiare vita. Uscendo da un “giro” in cui la stragrande maggioranza di loro è finita per bisogno, e talvolta per vera e propria costrizione (le straniere vittime della tratta), non certo per scelta.
Il contrasto tra queste due posizioni sembra irriducibile e riguarda la stessa scelta delle parole: prostituzione o sex work? “Stupro a pagamento” (come è intitolato il bel volume autobiografico di Rachel Moran) o «un lavoro come un altro», di cui si tratterebbe di garantire l’esercizio in condizioni di legalità e sicurezza? Il tema è di quelli che dividono, anche a sinistra, anche all’interno del femminismo e delle associazioni per la difesa dei diritti umani. E probabilmente non potrebbe essere altrimenti, data la molteplicità delle questioni in gioco: dalla visione del corpo, della sessualità, delle relazioni tra i sessi alle nostre idee sulla libertà, i diritti, il rapporto tra Stato e mercato.”
di Daniela Danna, Silvia Niccolai, Luciana Tavernini, Grazia Villa
Firmato da quattro autrici: la sociologa Daniela Danna, la costituzionalista Silvia Niccolai, la storica Luciana Tavernini e l’avvocata Grazia Villa, “Né sesso né né lavoro” è un testo fondamentale per chi voglia capire un po’ di più il dibattito su prostituzione e sex work in Italia.
Un libro scritto a più voci ma con una visione comune che intende aiutare chi legge a sfilare la testa dalla sabbia dei luoghi comuni, andare oltre slogan sempre più diffusi che, volendo sdoganare la questione, negano gravi problemi sociali e mentono spudoratamente.
Il sex work non è un lavoro come un altro, il concetto stesso di sex work stravolge il senso sia del sesso sia del lavoro.
Forti di competenze specifiche, le quattro autrici mostrano i differenti aspetti del fenomeno in un’analisi calata nella peculiare realtà dell’abolizionismo tradito nel nostro paese, dove la lotta alla tratta non è una priorità e dove sulla prostituzione vige il laissez faire. Dall’esame dei modelli di politiche internazionali all’analisi della Legge Merlin (male interpretata) e delle numerose proposte parlamentari di modifica della legge, all’appassionata riflessione sulla portata della prostituzione negli attuali rapporti umani.
Leggine un estratto…
“Ho capito il mio atteggiamento e quello di diverse mie amiche verso la prostituzione quando li ho associati a un episodio della mia infanzia. Avevo quasi tre anni quando mi sono allontanata dalla casa dei nonni per cercare i miei genitori, usciti a fare la spesa. Inerpicandomi per un sentiero fra i boschi, arrivai a un maso vicino e, sentendo il cane abbaiarmi contro, mi coprii il viso con le mani, lasciando aperte le dita. Nel mio pensiero magico, nascondendo il viso mi sarei resa irriconoscibile e il cane non mi avrebbe vista, mentre io lo avrei controllato e mi sarei avvicinata il meno possibile.
Con la prostituzione è andata così.
Sapevo che esisteva, non avevo bisogno che restasse nelle “case chiuse” con i vetri oscurati; non era la buona educazione o il bon ton a non farmene parlare, piuttosto la sottile paura che la cosa mi riguardasse. Insomma, intravedere era un modo per tenere lontane le sue implicazioni. Intuivo quanto la prostituzione fosse connessa al contratto sessuale degli uomini tra loro per avere accesso al corpo femminile, e dunque anche al mio; alla pretesa che i desideri maschili fossero gli unici legittimi, che il ruolo delle donne fosse quello di supportarli e di essere lo specchio in cui l’uomo diventa grande (dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna). Ma io non volevo vivere all’ombra di qualcuno e il mio desiderio, proprio per l’incontro col femminismo, continuava e continua ad accendersi. Un desiderio che ha reso evidente quanto mi andasse stretta la divisione patriarcale delle donne in due grandi categorie: le procreatrici e le donne di piacere, le donne per bene e le donne per male. Le prime devono garantire la certezza e la continuità della discendenza, un’ossessione maschile che ha prodotto nei secoli una serie di abomini: dalle spose ignoranti e molto giovani alla prova della verginità della prima notte, dall’escissione della clitoride, non solo fisica (mia madre neppure sapeva della sua esistenza, guai a toccarsi lì ), alla fasciatura dei piedi delle donne cinesi durata secoli, dall’organizzazione di harem custoditi da eunuchi ai delitti d’onore, dai matrimoni riparatori alla patria potestà che toglieva le creature alla madre in caso di adulterio, solo per fare qualche esempio. Le altre, le donne per male, devono garantire il piacere sessuale maschile, un’esperienza così attraente da far “perdere la testa” e per la quale, come per la funzione delle prime, le donne sono necessarie. Anche qui invenzioni a dir poco obbrobriose: dalle molestie, considerate modi naturali di rapportarsi alle donne fin da bambine e adolescenti, allo stupro individuale come manifestazione di controllo sull’altra, dallo stupro di gruppo come forma di coesione tra uomini alle diverse modalità di organizzare la prostituzione, dove il denaro paga la prestazione richiesta cancellando chi la fornisce.
Soprattutto nelle istituzioni maschili segregate, per esempio negli eserciti, le donne prostituite, anche con l’inganno, erano una costante ritenuta inevitabile e solo da poco si comincia a esprimere parole di condanna. Basti pensare alle comfort women per le truppe giapponesi, all’invenzione del “madamato” per quelle italiane nelle colonie, per non parlare del sistema di R&R ( rest & recreation ), in particolare per le truppe USA durante la guerra del Vietnam. Nella Roma papale del Cinquecento, piena di celibi, vi era uno stuolo di cortigiane, spesso costrette a questo ruolo dopo il cosiddetto “trentuno”: uno stupro collettivo a cui partecipavano trentuno uomini – come si racconta accadde a Lorenzina, la figlia di un fornaio (Lawner, 1988, pp. 10-11).
Del resto, nei casini italiani del primo dopoguerra la media di quaranta “marchette” era considerata bassa (Merlin e Barberis, 1955, pp. 25 e 30). E dal 1995 alcune suore cominciano a presentare rapporti-denuncia ufficiali sugli abusi di preti verso le consorelle. Per tenere ben separate le due categorie femminili, sulle donne che non rispettano le regole maschili da un lato ricade la vergogna, dall’altro s’innesca la paura di punizioni sia per le prime sia per le seconde, basti pensare che nel Cinquecento, il secolo del cosiddetto Rinascimento, una cortigiana che non si era mostrata disponibile a tempo debito poteva essere punita dall’amante con uno stupro organizzato con l’inganno e la complicità di ottanta uomini (Lawner, 1988, pp. 75-77).
Ho potuto vedere le violenze connesse a questa divisione innaturale quando, oltre quarant’anni dopo, ho definito con altre “molestia” quello che un medico mi aveva fatto e che continuavo a minimizzare, situazione che m’impediva di fidarmi del mio sentire e di prendere parola pubblicamente in modo autentico. Non avevo timore a fare lezioni anche davanti a trecento persone come ripetitrice di pensieri altrui o nascondendo con l’ironia i miei, di cui non riuscivo a essere sicura (Tavernini, 2012 e 2014).
Vivere attenta a non cadere nella vergogna e ad allontanare la paura mi aveva spinta a introiettare il desiderio maschile pensando così di esaudire anche il mio, a non voler vedere la violenza a cui ero stata sottoposta per continuare a percepirmi viva: la violenza ti fa diventare cosa, ed è quanto di più vicino alla morte ci sia.
Le pratiche femministe che, pur modificandosi nel tempo, hanno mantenuto l’interrogarsi tra donne a partire da sé, mi hanno permesso di tenere le dita aperte per non cancellare l’esperienza di quelle che vivevano con la prostituzione. Anch’io ho gridato nei cortei non più puttane, non più madonne, solo donne: la separazione dunque doveva crollare, ma non significava l’instaurarsi di un nuovo e unico modello. Con le amiche dell’autocoscienza, con cui continuo a incontrarmi, e con quelle con cui ricerco da decenni, ho compreso che il nostro immaginario era colonizzato da film e racconti che confermavano le modalità maschili d’incontro sessuale e in un primo tempo ho rischiato di accontentarmi della liberazione sessuale.
Essere sessualmente disponibili si rivelò uno scacco, desideravamo invece scoprire, con chi decidevamo di provare, il piacere nostro e anche suo. Insomma, volevamo la libertà sessuale”.
“La piccola principe” di Daniela Danna si apre come una lettera in cui l’autrice si rivolge a chi legge immaginando che anche lei, specie se nella fase di crescita, si stia interrogando sulla sua identità sessuale.
«Se pensi che potresti essere un maschio perché hai una fortissima simpatia, un’attrazione, un desiderio di stare insieme a un’altra ragazza, o a una donna, devi sapere che questo sentimento non deve essere fonte di vergogna, anche se non è irrazionale la tua paura di rivelarlo». L’autrice infatti racconta con naturalezza la paura che spesso accompagna chi si fa queste domande e gli effetti che queste possono avere.
Leggine un estratto…
“Ciao! Scrivo a te che sei giovane, che stai per svilupparti e diventare un’adulta e che ti stai interrogando su come crescere e identificarti… Mi rivolgo a te al femminile perché – anche se pensi che potresti essere maschio – nella tua prima parte di vita in questa società ti hanno trattata come si è soliti trattare le femmine, cioè sei stata cresciuta con una certa pressione, sociale se non familiare, verso l’adesione ai modelli sociali femminili.
Se pensi che potresti essere un maschio perché hai una fortissima simpatia, un’attrazione, un desiderio di stare insieme a un’altra ragazza, o a una donna, devi sapere che questo sentimento non deve essere fonte di vergogna, anche se non è irrazionale la tua paura di rivelarlo. Sappi che stare insieme a un’altra ragazza, o a una donna, non è mai stato facile, che anche noi lesbiche abbiamo tenuto dentro questo sentimento prima di parlarne a chiunque, timorose di essere etichettate negativamente, di essere ostracizzate.
I legami tra femmine – a partire da quelli tra madre e figlia – nella nostra società non sono incoraggiati, non sono ben visti, sia che si tratti di amicizia, di affetto, di amore, o anche di trasmissione culturale. Ci insegnano che il primo posto nel cuore di una femmina deve essere occupato da un maschio (fidanzato, marito, padre, Gesù, Dio) ed è una delle ragioni per cui chiamiamo patriarcale la società in cui viviamo. Noi che amiamo le donne pensiamo che questo imperativo sia sbagliato, che le femmine dovrebbero essere lasciate libere, anche di darsi forza l’una con l’altra. Noi ci chiamiamo lesbiche perché diamo importanza a questa forza, come fece la maestra e poeta Saffo, e vogliamo dire al mondo che amiamo le donne, vogliamo stare con loro. Potrebbe non essere il tuo caso, chissà.
Quello che succede nell’infanzia o nell’adolescenza non è un destino ineluttabile. Ma è importante – lo si scopre nella vita – essere fedeli a se stesse per poter essere felici.”
Né sesso né lavoro vuole fornire, un contributo indispensabile al dibattito su prostituzione/sex work in Italia. Un testo importante per chi vuole capire qualcosa in più sulla prostituzione e sfilare la testa dalla sabbia dei luoghi comuni, andare oltre slogan sempre più diffusi che, volendo sdoganare la questione, negano gravi problemi sociali e mentono spudoratamente. Il sex work non è un lavoro come un altro, il concetto stesso di sex work stravolge il senso sia del sesso sia del lavoro. Forti di competenze specifiche, le quattro autrici mostrano i differenti aspetti del fenomeno in un’analisi calata nella peculiare realtà dell’abolizionismo tradito nel nostro paese, dove la lotta alla tratta non è una priorità e dove sulla prostituzione vige il laissez faire. Dall’esame dei modelli di politiche internazionali all’analisi della Legge Merlin (male interpretata) e delle numerose proposte parlamentari di modifica della legge, all’appassionata riflessione sulla portata della prostituzione negli attuali rapporti umani.
Le autrici Daniela Danna è sociologa all’Università del Salento e si occupa di questioni di genere, analisi dei sistemi-mondo, rapporto società-ambiente, decrescita.
Silvia Niccolai è ordinaria di diritto costituzionale all’Università di Cagliari.
Luciana Tavernini ha partecipato dagli anni Ottanta all’Associazione Melusine, alla Pedagogia della differenza e poi alla Comunità di pratica e riflessione pedagogica e ricerca storica, ora Comunità di storia vivente. Ha insegnato nelle scuole medie, nei corsi 150 ore e italiano a donne straniere.
Grazia Villa è dal 1985 avvocata per i diritti delle persone (donne, lavoro, minori, famiglia, vita indipendente, immigrazione, cittadinanza, libertà). Con le donne ha promosso molte cause pilota in materia di riconoscimento di diritti nei luoghi di lavoro, costituzione di parte civile nei processi di stupro e violenza sessuale, denunce relative a molestie e stalking, tra queste la prima condanna per reato di schiavitù nel 2000.
In un dialogo “a tu per tu” con l’umanità, la Natura, in una sorta di personalizzazione letteraria, “ci parla”, affrontando tematiche nevralgiche della nostra odierna civiltà: equilibrio ambientale, disuguaglianza sociale, predominio delle multinazionali, visione libera della sessualità. Con un approccio ecofemminista, questo breve ma fulminante pamphlet attacca il sistema capitalista e patriarcale caratterizzato dalla supremazia maschile, dove donne, animali e ambiente appartengono a categorie analoghe, considerate come proprietà e beni da dominare e sfruttare. E anche se noi esseri umani siamo parte della Natura, questo mondo ha tracciato un solco cosi profondo tra noi e lei, da renderla non solo estranea, ma addirittura ostile nemica. Queste semplici pagine sono un invito a conoscerla meglio, allo scopo di rispettarla. E in questo processo, cambiare noi, smettendo di modificare lei.
Daniela Danna è sociologa e si occupa di questioni di genere, analisi dei sistemi-mondo, rapporto società-ambiente, decrescita. Le sue ultime pubblicazioni sono Fare un figlio per altri è giusto… (Falso)! (Laterza, 2017), Maternità. Surrogata? (Asterios, 2017), La Piccola Principe (VandA ePublishing 2018), Il peso dei numeri: Teorie e dinamiche della popolazione (Asterios, 2017). Vi aspetta sul sito Web www.danieladanna.it.
Milano –Lo spunto dell’ultimo libro della sociologa Daniela Danna, proviene dall’aumento negli ultimissimi anni, da parte di adolescenti e famiglie, di richieste di accesso ai percorsi di transizione e autodeterminazione, che permettono di smettere di vivere il ruolo di genere relativo al sesso biologico di appartenenza per arrivare a vivere pienamente nell’identità di genere di elezione (transgenderismo). È un tema che tocca vari aspetti, da quello legato alla fascia dell’adolescenza con le difficoltà di trovare una propria identità personale, fino a quello squisitamente medico e psicologico (in Italia la transizione è coperta dal Servizio Medico Nazionale mentre all’estero spesso è in regime privato).
Milano –Il libro ha aperto un dibattito, a volte dai toni aspri, che si inserisce in un clima di contrapposizione e di opposizione creatosi negli ultimi anni tra mondo lesbico/femminista e mondo trans. Dibattito che spesso rimane confinato ai circoli Lgbt, ma che riveste un grande interesse per chiunque perché riguarda l’identità sessuale e quella di genere. Soprattutto in un periodo come quello attuale, nel quale la compagine governativa, ed evidentemente gran parte della popolazione, vuole ricondurre la questione a una rigida visione tradizionale dei ruoli.
Dalle 19.00 cucina aperta con piatto del giorno, panini, bruschette e taglieri. Ingresso con tessera Arci.
Daniela Danna parla del suo ultimo libro, “Dalla parte della natura”, con Il posto delle parole. Qui potete trovare l’intervista completa.
In un dialogo “a tu per tu” con l’umanità, la Natura, in una sorta di personalizzazione letteraria, “ci parla”, affrontando tematiche nevralgiche della nostra odierna civiltà: equilibrio ambientale, disuguaglianza sociale, predominio delle multinazionali, visione libera della sessualità. Con un approccio ecofemminista, questo breve ma fulminante pamphlet attacca il sistema capitalista e patriarcale caratterizzato dalla supremazia maschile, dove donne, animali e ambiente appartengono a categorie analoghe, considerate come proprietà e beni da dominare e sfruttare. E anche se noi esseri umani siamo parte della Natura, questo mondo ha tracciato un solco cosi profondo tra noi e lei, da renderla non solo estranea, ma addirittura ostile nemica. Queste semplici pagine sono un invito a conoscerla meglio, allo scopo di rispettarla. E in questo processo, cambiare noi, smettendo di modificare lei.
Daniela Danna, è ricercatrice confermata in Sociologia generale presso il Dipartimento di studi sociali e politici della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Milano. Insegna Politica sociale per la laurea triennale in Scienze sociali per la globalizzazione. Tra i suoi interessi di ricerca figurano analisi dei sistemi-mondo, rapporti tra i generi, studi sulla sessualità, sociologia dell’ambiente, sociologia storica. Tra le sue ultime pubblicazioni ricordiamo: La piccola principe. Lettera aperta alle giovanissime su pubertà e transizione.
Lo spunto dell’ultimo libro di Daniela Danna, sociologa, proviene dall’aumento negli ultimissimi anni, da parte di adolescenti e famiglie, di richieste di accesso ai percorsi di transizione e autodeterminazione, che permettono di smettere di vivere il ruolo di genere relativo al sesso biologico di appartenenza (transgenderismo).
È un tema che tocca vari aspetti, da quello legato alla fascia dell’adolescenza con le difficoltà di trovare una propria identità personale, fino a quello squisitamente medico e psicologico (in Italia la transizione è coperta dal Servizio Medico Nazionale mentre all’estero spesso è in regime privato).
Il libro ha aperto un dibattito, a volte dai toni aspri, che si inserisce in un clima di contrapposizione e di opposizione creatosi negli ultimi anni tra mondo lesbico/femminista e mondo trans. Dibattito che spesso rimane confinato ai circoli LGBT, ma che riveste un grande interesse per chiunque perché riguarda l’identità sessuale e quella di genere. Soprattutto in un periodo come quello attuale, nel quale la compagine governativa, ed evidentemente gran parte della popolazione, vuole ricondurre la questione a una rigida visione tradizionale dei ruoli.
La Pianta Anarchica, partendo proprio da La piccola principe, vuole provare a condividere la conoscenza della situazione. Insieme a Daniela Danna saranno presenti Nathan Bonni, attivista LGBT, e Marina Cortese, ginecologa. Per la Scighera Chiara Catellani e Andrea Perin.
Cucina aperta dalle 19.00
Ingresso con tessera Arci
Possono i minorenni voler cambiare sesso? Da dove viene questa strana richiesta, dal momento che cambiare sesso non è realmente possibile? L’attuale confusione tra “sesso” e “genere” indotta dalla filosofia postmoderna, secondo la quale il mondo è un testo e la realtà materiale non ha alcuna importanza, sta dando una spinta potentissima alla normalizzazione delle nuove generazioni.
Se sei un bambino effeminato, diventerai bambina. Se sei un maschiaccio, allora sei “veramente” un ragazzo. Big Pharma ti sorride: ti venderà ormoni per tutta la vita.
Daniela Danna, è ricercatrice confermata in Sociologia generale presso il Dipartimento di studi sociali e politici della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Milano. Insegna Politica sociale per la laurea triennale in Scienze sociali per la globalizzazione. Tra i suoi interessi di ricerca figurano analisi dei sistemi-mondo, rapporti tra i generi, studi sulla sessualità, sociologia dell’ambiente, sociologia storica. Tra le sue ultime pubblicazioni ricordiamo: Dalla parte della natura, VandAePublishing in coedizione con Morellini Editore.
Vi aspettiamo al circolo ARCI La Scighera, via Candiani 131, Milano
La Natura si umanizza e dialoga con noi, “ci parla”, affrontando temi essenziali, come l’equilibrio ambientale. Con tono bonario, se la ride di questa sciocca umanità che ha squilibrato il rapporto società—natura senza rendersi conto dell’effetto boomerang che la minaccia. È questa la struttura narrativa che Daniela Danna ha scelto per il suo libro “Dalla parte della natura. L’ecologia spiegata agli esseri umani” ([VandAePublishing in co-edizione con] Morellini ed). “Non sono avido, ho solo paura del futuro” conclude, con le spalle al muro, l’uomo. La natura gli risponde: “Allora comincia a investire in azioni positive verso i tuoi simili, piuttosto che in azioni in Borsa.”
Il diritto della madre: uscire dalla simmetria giuridica dei sessi nella procreazione
Convegno presso l’Università degli Studi di Milano, Facoltà di Scienze politiche, economiche e sociali, via Conservatorio 7, 29 novembre 2018, Sala Lauree.
Comitato scientifico: Valentina Calderai (Diritto privato, Università di Pisa), Daniela Danna (Sociologia, Università di Milano), Olivia Guaraldo (Filosofia politica, Università di Verona), Silvia Niccolai (Diritto costituzionale, Università di Cagliari), Elisa Olivito (Diritto costituzionale, Università di Roma), Susanna Pozzolo (Filosofia del diritto, Università di Brescia), Monica Santoro (Sociologia, Università di Milano)
Programma
Il convegno intende stimolare una riflessione delle giuriste e di tutti coloro che studiano la società intorno ad una coppia di domande: ci chiediamo se sotto la rivisitazione paritaria e neutra, che ha interessato nel corso degli anni il diritto di famiglia, non sia all’opera ancora, o nuovamente, un diritto prevalente del padre, e se questo assetto non possa essere ripensato, alla luce del patrimonio del pensiero femminista nel diritto. A questo pensiero intendiamo richiamarci, nelle sue ricche sfaccettature, che annoverano figure e percorsi diversi, ma sono tutte accomunate dalla critica nei confronti dell’automatismo della parità e dell’aspirazione alla mera simmetria dei sessi; riflessioni che hanno saputo sempre, partendo dalle donne, parlare del mondo, riconoscendo e criticando i modelli di convivenza che si sono venuti affermando, i quali condizionano e influenzano, anche, l’argomentazione giuridica e la riflessione sociale.
Si pensi all’elaborazione della nozione di ‘uguaglianza valutativa’ di Letizia Gianformaggio; all’ampia riflessione che approfondisce l’intreccio fra capitalismo e patriarcato e, in questa cornice, alle considerazioni di Carole Pateman sul ‘contratto sessuale’ e sulle ambiguità del concetto di ‘genere’; oppure alla riflessione che coglie, con Martha Fineman, il legame tra la “neutralizzazione” della madre e le esigenze del mercato. Oppure, agli studi che hanno riconosciuto nella medicalizzazione del corpo femminile, della gestazione e del parto, l’annuncio di una idea di soggettività e di socializzazione basate sulla ‘managerializzazione del sé’, che si sono col tempo rivelate cruciali nella costruzione della governamentalità ‘neo-liberale’, come nella lettura di Barbara Duden; e ancora alle ‘istituzioni della maternità’ di cui parla Adrienne Rich, che possono assumere storicamente forme diverse, ma riproporre identiche finalità espropriative e di controllo sulle donne, in particolare nella surrogazione di maternità.
Molti sono gli ambiti che si aprono e che possono essere esplorati, sia in chiave di diritto positivo, sia di analisi filosofica e sociologica, a partire da una riflessione volta a interrogare problematicamente una simmetria giuridica dei sessi nella procreazione che neutralizza la donna.
In particolare, da un lato, è stato da lungo tempo sottolineato che l’approccio ‘neutro’ ai temi della famiglia in nome della “parità” e della “fungibilità tra i sessi” può nascondere una nuova insidiosa discriminazione, nel senso di un trattamento incongruo e inappropriato, e di una perpetua svalorizzazione, nei confronti dell’esperienza femminile. Oggi, sul terreno della concreta esperienza giuridica, segnali significativi di simili insidie vengono chiaramente alla luce quando, in nome di un interesse superiore del minore tutto declinato nel cono di un principio paritario di bi-genitorialità, l’applicazione dell’affido condiviso apre a tragiche contraddizioni nei casi di conflittualità e di violenza. Più equa ci appare una prospettiva che, ben oltre il discorso individualista e il suo correlato paritario – oggi egemoni nel diritto – faccia spazio, proprio nel diritto, a una concezione costitutivamente relazionale della soggettività, nei suoi aspetti più concreti e materiali.
D’altro lato, è consolidata la consapevolezza che la famiglia, organismo centrale nell’autonomia sociale, risente delle dinamiche interpretative e delle pratiche che interessano il “governo” delle soggettività, e l’idea stessa di individuo e di persona, pratiche che hanno un loro centro nevralgico nella regolazione della fecondità femminile e degli istituti connessi. In questo quadro, rappresenta una sfida interrogare, per un verso, il concetto neutro di ‘omogenitorialità’– che si sostituisce a espressioni, sessuate, quali ‘doppia maternità’ e ‘doppia paternità’ – e, per l’altro verso, confrontare la rivendicazione di un principio neutro di “genitorialità alla nascita” con il principio mater semper certa – universale fino all’introduzione dell’istituto giuridico della surrogazione di maternità in California con Johnson v Calvert (1993). Riteniamo che la regula juris del mater semper certa possa essere interpretata oggi in chiave favorevole a nuove dimensioni di libertà femminile, traducibili in istituti giuridici capaci di rispecchiare la differenza sessuale.
In questa cornice possiamo enucleare, esemplificativamente, alcune domande:
È possibile sviluppare un “universalismo” a partire dalla prospettiva femminista o l’analisi femminista deve essere annoverata tra quelle politiche “parziali” e/o di parte?
Si può andare oltre l’anatema “essenzialista” che colpisce ogni uso politico e intellettuale dell’idea di differenza sessuale?
Quali sono le connessioni tra prospettiva femminista e critica all’intreccio tra capitalismo e patriarcato?
Come tener conto della differenza sessuale nella generazione e nella filiazione?
Quali i percorsi della soggettività giuridica e dell’idea di libertà nelle visuali critiche del diritto, giusfemministe e della differenza sessuale?
Donna, concepito, terzi: come individuare la libertà femminile nella generazione, in una scena della filiazione sempre affollata da ulteriori interessi?
Possono i minorenni voler cambiare sesso? Da dove viene questa strana richiesta, dal momento che cambiare sesso non è realmente possibile? L’attuale confusione tra “sesso” e “genere” indotta dalla filosofia postmoderna, secondo la quale il mondo è un testo e la realtà materiale non ha alcuna importanza, sta dando una spinta potentissima alla normalizzazione delle nuove generazioni.
Se sei un bambino effeminato, diventerai bambina. Se sei un maschiaccio, allora sei “veramente” un ragazzo. Big Pharma ti sorride: ti venderà ormoni per tutta la vita.
Daniela Danna, è ricercatrice confermata in Sociologia generale presso il Dipartimento di studi sociali e politici della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Milano. Insegna Politica sociale per la laurea triennale in Scienze sociali per la globalizzazione. Tra i suoi interessi di ricerca figurano analisi dei sistemi-mondo, rapporti tra i generi, studi sulla sessualità, sociologia dell’ambiente, sociologia storica. Tra le sue ultime pubblicazioni ricordiamo: Dalla parte della natura, VandAePublishing in coedizione con Morellini Editore.
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