(Libreriamo, 18 febbraio 2017)
– E se potessimo rivivere la nostra vita al contrario senza poter cambiare nulla di quello che abbiamo fatto? Di questo parla Marco Voleri…
E se potessimo rivivere la nostra vita al contrario, da oggi al giorno della nostra nascita, senza poter cambiare nulla di quello che abbiamo fatto? Cosa proveremmo? Scopriremmo qualcosa di nuovo? Quale valore assumerebbero gli eventi? Ci renderemmo forse conto di esserci persi qualcosa lungo il nostro percorso? Di questo parla “Senza di te il treno non parte” (VandA), il secondo libro di Marco Voleri, tenore professionista già autore dell’autobiografia “Sintomi di felicità“, nella quale ha raccontato la sua reazione alla sclerosi multipla che l’ha colpito. Abbiamo intervistato l’autore. Ecco cosa ci ha raccontato.
“Senza di te il treno non parte” è in qualche modo un elogio della lentezza. Perché dovremmo rallentare? Cosa ci guadagnamo?
Più che un elogio alla lentezza trovo che il romanzo sia una riflessione sulla consapevolezza dei momenti di vita vissuti a pieno, a metà o semplicemente non vissuti, bypassati in una modalità frenetica di vivere, senza gustare di fatto tutto quello che la vita quotidianamente ci offre. Un po’ la differenza tra vivere e sopravvivere. Se per lentezza si intende la possibilità di vivere in pienezza la vita, scorgerne colori ed odori senza passarci in mezzo come fossimo, appunto, un treno… allora sì, il guadagno in questo caso risiede proprio nel rallentare, consapevolmente. Per dirla alla Mogol “rallentare per poi accelerare, con un ritmo fluente di vita nel cuore”.
Qual è la cosa più importante che Francesco scopre ripercorrendo a ritroso la sua vita?
Il valore di attimi di vita “sopravvissuti”. Il Francesco quarantenne impara spesso da quello che lo ha preceduto. Si trova frequentemente in mezzo a un ripasso dei sentimenti. Come dire: se prima non aveva minimamente dato peso a una parte della vita vissuta, adesso le priorità diventano proprio i gesti dimenticati, le frasi scritte su un biglietto di auguri, le parole non dette, sostituite spesso da un sorriso di circostanza. Il suo evidenziatore mentale ha sottolineato, nel viaggio fantastico che stava facendo, proprio quei paragrafi di vita che aveva attraversato distratto, con sufficienza. E tutto, come per magia, è più bello rispetto al viaggio d’andata.
Francesco, il protagonista, è come lei un musicista. Cos’ha di speciale il linguaggio della musica?
La musica, semplicemente, esiste per parlare di ciò di cui la parola non può parlare. Questo non lo dico io, ma lo scrittore e saggista francese Pascal Quignard. Concordo pienamente con questa prospettiva. Quante volte, in vita vostra, vi siete trovati ad ascoltare alla radio, durante un viaggio, un brano che vi ha immediatamente catapultato l’anima in un momento intenso vissuto? Una specialità del linguaggio della musica è certamente questa. Non è l’unica, sia chiaro. Francesco si separa raramente dal suo violoncello, che è di fatto un prolungamento fisico della sua anima.
Quali scenari apre la possibilità di rivivere il passato, diversamente a livello emotivo? Che poi è quello che racconta il romanzo…
Sicuramente lo scenario della nave rompighiaccio. Francesco, in un determinato momento del racconto, si trova a navigare “nel mare gelato di emozioni ibernate, volutamente non vissute, a volte neanche scorte. E adesso come per miracolo liberate, come una grande emorragia di sentimenti veri.” E’ di fatto costretto a fare i conti con emozioni passate e volutamente non vissute nel viaggio di andata. Era faticoso affrontarle, all’andata, e comportava una grossa messa in discussione di se stesso. Ma qualcuno, di fatto, gli ci ha fatto sbattere il naso.
Il lettore arriva all’ultima pagina e chiude il libro. Cosa spera che gli sia rimasto dalla lettura?
La stesura di questo romanzo è nata osservando le persone. Per strada, al supermercato, in metro, ovunque. Mi sono chiesto, un bel giorno, quante emozioni non vissute ci potessero essere nella vita frenetica di tutti i giorni, e ho sognato ad occhi aperti quanto sarebbe fantastico poterle rivivere. Spero che al lettore possa rimanere l’avida voglia di vivere e non sopravvivere, nemmeno per un giorno, un’ora o un minuto della sua vita.