di Annarita Briganti (La Repubblica, 3 marzo 2019)
– Intervista
La letteratura che racconta la realtà, la rivincita della non-fiction, il ritorno dell’impegno, che si tratti di un graphic novel che raccoglie le storie dei migranti salvati in mare o, come in questo caso, di un saggio-reportage sulla prostituzione, mentre in Italia sta per riesplodere il dibattito. La giornalista inglese Julie Bindel (Guardian), attivista femminista, arriva a Milano mercoledì, dopo la decisione della Consulta, prevista per martedì, sull’eventuale incostituzionalità della legge Merlin, il che potrebbe portare alla riapertura delle case chiuse. Un tema delicato e controverso, che divide le femministe stesse, al centro del libro di Bindel, Il mito Pretty Woman, pubblicato dalle case editrici milanesi Morellini e VandA.ePublishing, che l’autrice presenterà sabato alla Libreria delle donne.
Qual è il senso di questa inchiesta contro la “lobby dell’industria del sesso”?
«Volevo sfatare il mito, che Hollywood ha contribuito a diffondere, della prostituta felice. Ho viaggiato per tre anni, raccogliendo 250 interviste in 40 Paesi. Ho parlato con protettori, proprietari di case di tolleranza, client, consumatori di porno, forze dell’ordine, donne che si vendono in strada, negli appartamenti, nei centri massaggi e sopravvissute a tutto questo. Attraverso le loro voci, e grazie a quello che ho imparato sul campo, ho cercato di svelare il vero volto del commercio mondiale del sesso».
Quali sono le storie che I’hanno colpita di più?
«Quelle delle ex prostitute, le uniche che dicono la verità. Una 65enne mi ha raccontato che a 14 anni e scappata di casa. Pensava di fare una ragazzata, di stare via un paio di giorni. Poi ha conosciuto un uomo che faceva quello gentile, quello che ascolta la tua triste storia. In realtà, questo pseudo amico ha portato la ragazza da un altro uomo e l’ha venduta a lui. Quest’ultimo l’ha picchiata fino quasi ad ammazzarla quando ha tentato di fuggire. La donna ci avrebbe messo molto tempo a liberarsi di quella schiavitù.
Lei ci parla anche di un pericolo attuale come la prostituzione sul web.
«Il sesso via webcam è un business da un miliardo di dollari all’anno, un quinto del porno, con lo stesso rischio di normalizzazione, ed è sempre più diffuso tra i giovani, magari per pagarsi gli studi, come mi ha raccontato un’altra intervistata. Questa giovane donna ha fatto “webcamming” per dodici mesi, mentre finiva di studiare. Un suo amico fotografo le aveva detto che con’ora online avrebbe guadagnato quanto una settimana in un bar. Pensava di farcela, credeva che sarebbe stato facile senza un contatto con il cliente, ma poi ha iniziato a soffrire di insonnia e a stare male».
Cosa dirà nei suoi due incontri milanesi, quando la Corte Costituzionale si sarà già espressa sull’argomento?
«Se avessi un dollaro per tutte le volte in cui ho sentito dire che la prostituzione e il mestiere più antico del mondo, che c’è sempre stata e sempre ci sarà, le organizzazioni femministe non sarebbero così a corto di fondi. E come affermare che la povertà non è una novità quindi costruiamo più case fatiscenti per i poveri. O che il problema post #metoo è il femminismo e non il privilegio maschile. A Milano parlerò dei disastri della legalizzazione».
La letteratura deve essere politica?
«I libri sono fondamentali per dare un senso ai movimenti politici e al contesto nel quale si sviluppano. Quando si scrive un reportage secondo me bisogna parlare con quante più persone possibili, andare ovunque e avere uno scopo. Scrivo per fare finire la violenza contro le donne».