(Il Fatto quotidiano, 7 marzo 2019)
– In tour in Italia. L’inchiesta della giornalista sul funzionamento del mercato del sesso
La prima occasione in cui ho incontrato i miti persuasivi del mercato del sesso è stata il film Pretty Woman del 1990, diretto da Garry Marshall. È una commedia romantica e la storia va così: Julia Roberts, che interpreta una donna prostituita sulla strada, incontra Richard Gere, che fa la parte di un ricco uomo d’affari e la porta nel suo albergo di gran lusso. Scopriamo che il compratore vuole una “prestazione fidanzatina” (girlfriend experience) da parte della donna, e assistiamo a diverse scene in cui si beve champagne e si mangiano fragole. Richard Gere ostenta Julia Roberts come un trofeo con i suoi contatti d’affari altrettanto upper-class e le rispettive mogli della buona società, cui risulta evidente che lei non è una di loro, tuttavia alla fine i due si innamorano e vivono felici e contenti. La relazione tra il compratore di sesso e la donna prostituita viene presentata come quella tra un cavaliere dalla splendente armatura che salva la fanciulla povera ma bella secondo i canoni tradizionali, la quale è finita sulla strada per circostanze difficili e senza colpa alcuna. Salvandola, Gere pulisce Roberts del suo status di “puttana”. Allo stesso tempo, salva sé stesso dall’identificazione con i ruoli del puttaniere predatore o del patetico incapace di una vera relazione. Nel 1991 ero a Mosca per parlare a un gruppo di studentesse tra i 16 e i 18 anni. Domandai alle ragazze che lavoro avrebbero voluto fare e più del 50 per cento rispose che avrebbe voluto essere una prostituta. Scioccata, chiesi come mai. La risposta più comune, a parte il fatto che in questo modo sarebbero potute emigrare dalla Russia in Occidente, fu che cosi avrebbero potuto incontrare un uomo come Richard Gere e avere una bella vita. (…)
Nasceva così il mito della “puttana felice”. L’espressione “sex work” (“lavoro sessuale”)/”sex worker” (“lavoratrice sessuale”) diventerà la parola d’ordine di una lobby composta da accademici, assistenti sociali, politici, proprietari di bordelli e di agenzie di escort, nonché compratori di sesso, una lobby ben finanziata con lo scopo di decriminalizzare l’industria del sesso a livello globale, ossia trasformare gli sfruttatori in manager e garantire il “diritto” degli uomini di abusare impuniti dei corpi delle donne. Ma, come spiega Rachel Moran, la prostituzione non è “né sesso, né lavoro”, il fatto che ci sia di mezzo del denaro non cambia la natura di quello che succede. (…) In anni recenti il mercato del sesso è stato sottoposto a un rinnovamento d’immagine perdere l’impressione che non sia pericoloso, che addirittura non si tratti di prostituzione. Chi è a favore del commercio sessuale utilizza una terminologia che maschera la realtà di ciò che in-vece è; una persona, quasi sempre un uomo, che fa sesso con un’altra persona, quasi sempre una donna, senza desiderio reciproco. (…) Ho sempre sentito le sopravvissute, o donne ancora in prostituzione ma che vorrebbero uscirne, parlare di cosa è davvero il sesso che si fa. A differenza della lobby pro-prostituzione, i cui membri parlano di “sesso sicuro”, le donne che ho intervistato raccontano i dettagli. Parlano dell’odore tremendo dei compratori, del dolore di una vagina disidratata e ulcerata che viene penetrata da una molteplicità di uomini. L’orrore di avere lo sperma o altri fluidi corporali vicino alla faccia. La barba che sfrega sulla guancia fino a farla sanguinare, il collo dolorante a forza di girare la testa di colpo per allontanarla dalla lingua che cerca di baciarle. O di non riuscire a mangiare, a bere o a baciare i figli per via di quello che hanno dovuto fare con la bocca. Di come il braccio e il gomito fanno male per avere disperatamente cercato di farlo venire per non essere penetrata un’altra volta. (…) La sopravvissuta alla prostituzione Fiona Broadfoot racconta che “i compratori ti fanno sentire una merda quando hanno una bella camera d’albergo e possono comprarti. Tu sei la puttana schifosa e loro quelli con i soldi e il potere. Almeno in strada veniamo guardati tutti e due come schifezze, in un modo o nell’altro, da parte dei resi-denti e della polizia”.