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Radio inBlu – Intervista ad Agnese Bizzarri

Questa settimana su radio inBlu si lascia spazio ai bambini, in una bella intervista Agnese Bizzarri presenta la favola sul Coronavirus “Il tempo dei colori” che ha ispirato il contest ricondiviso anche dall’ONU.

Per ascoltare l’intervista completa cliccate qui.

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Valerie Solanas – intervista alla regista Mary Harron

Su Volture.com è stata pubblicata un’intervista a Mary Harron, la regista canadese di American Psycho, L’altra Grace e Ho sparato a Andy Warhol, film del 1996 basato sulla vera storia di Valerie Solanas, femminista radicale e autrice dei nostri “Manifesto SCUM“, “Trilogia SCUM” e “Up your ass“.

Valerie Solanas sta vivendo un momento di grande riconoscimento. Negli ultimi vent’anni, Solanas è stata il soggetto di numerosi libri accademici e di critica e ha ispirato ben tre opere teatrali e un romanzo. Nel 2017 è stata persino ritratta in un episodio della serie televisiva statunitense American Horror Story.

Qui di seguito un estratto dell’intervista originale:

And then I Shot Andy Warhol was a hit at Sundance

In 1996, Variety’s Todd McCarthy wrote, “Filmmakers have been dancing around the idea of dealing with Andy Warhol and his world ever since his death. Now that it’s been done, the result, as well as the angle taken on the material, is as unexpected as it is riveting.”.
The offer to do the script for American Psycho came in right after I got back from Sundance. That’s what happens if you have a first film that does well at Sundance.

Valerie Solanas is having a big moment now

Over the last two decades, Solanas has been the subject of a number of academic and critical books and the inspiration for three plays and a novel. In 2017, she was portrayed in an episode of American Horror Story: Cult by Lena Dunham..
At the time, feminism was not cool. At all. Now everyone wants to say they’re a feminist. But at the time — I never denied it. I always said I was, because I felt like, without feminism, I would never be doing this.

Where do you think your feminism comes from?

It was pretty instinctive. My mother was very old school in a lot of ways. She believed men were superior to women with two exceptions — my sister and myself. She was very ambitious for me and wanted me to be an artist. She would’ve been horrified if I hadn’t. She was very upset that my sister married and had kids early. At the same time, we’d disagree. She thought feminism was silly. She ran a radio program, and on her show, they used to excerpt books, and she refused to do Simone de Beauvoir. Still, I always thought I was going to have a career. That’s how I thought about my future — my career, my work, my ambition.

But I always felt like people were saying “Are you a feminist?” back in the day because they wanted to pigeonhole you as an ideological filmmaker, which I’m not, I don’t believe.”

Per leggere l’intervista completa clicca qui.

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“Così la società ha legalizzato l’oppressione degli animali” – amoreaquattrozampe.it

Condividiamo il bell’articolo pubblicato su amoreaquattrozampe.it e firmato da Teresa Franco sul nostro titolo “Carne da Macello. La politica sessuale della carne” di Carol J. Adams.

“L’attivista Carol Adams, autrice di Carne da macello – La politica sessuale della carne, svela come la società ha legalizzato l’oppressione degli animali.
In Italia è finalmente disponibile un testo fondamentale sui diritti degli animali, che spiega come siamo condizionati dalla società a pensare agli animali come esseri di serie B. Il libro è Carne da Macello, di Carol Adams.
Pubblicato per la prima volta nel 1990, The Sexual Politics of Meat (il titolo originale del libro, che tradotto significa La politica sessuale della carne) è un testo di riferimento nei dibattiti in corso sui diritti degli animali. Nei due decenni successivi, il libro ha ispirato polemiche e un acceso dibattito.

Viviamo in una cultura che ha istituzionalizzato l’oppressione degli animali attraverso la nostra lingua” ha dichiarato Carol Adams al Corriere della Sera. Una prova? Mangiamo carne di animali morti, quindi di cadaveri. Se parliamo del nutrimento degli avvoltoi, usiamo l’espressione “mangiano cadaveri” o “carcasse” ma per riferirci al nostro usiamo l’espressione “consumo di carne”, quasi per nobilitare il gesto e per non nominare l’animale ucciso, alleggerendoci la coscienza.

La Politica sessuale della carne sostiene che ciò che, o più precisamente chi mangiamo, è determinato dalla politica patriarcale della nostra cultura e che “i messaggi visivi e verbali nella cultura popolare e nella nostra società”, tra cui gli spot pubblicitari, “associano il mangiar carne e il machismo ” .

Viviamo in un mondo in cui gli uomini hanno ancora un notevole potere sulle donne, sia in pubblico che in privato. Carol Adams sostiene che la politica di genere è indissolubilmente legata al modo in cui vediamo gli animali, in particolare gli animali che vengono consumati.”

Per leggere l’intero articolo seguire il link:
https://www.amoreaquattrozampe.it/news/carol-adams-societa-legalizzato-oppressione-animali/59491/

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Filosofemme – Recensione “Carne da Macello”

È uscita il 27 marzo sul sito filosofemme.it una bella recensione di “Carne da Macello. La politica sessuale della carne” di Carol J. Adams, firmata da Roberta Landre.

Qui di seguito un estratto.

“Era il 1989 quando per la prima volta negli Stati Uniti venne pubblicato The Sexual Politics of Meat: A Feminist-Vegetarian Critical Theory, di Carol J. Adams e oggi, grazie a VandA Edizioni, possiamo avere il piacere di leggerlo nella sua più recente traduzione italiana: Carne da macello. La politica sessuale della carne (1). Un testo che ha segnato fortemente lo sviluppo dei movimenti femministi e vegetariani grazie alla sua abilità nello svelare le reciproche dipendenze di queste di forme, teoriche quanto pratiche, di resistenza e lotta politica.

L’attivismo praticato da questa autrice è senza dubbio guidato da una riflessione filosofica orientata alla questione femminista-vegetariana: nella vita di Adams (2) possiamo rinvenire i problemi centrali del secolo scorso e di quello attuale, quali la disparità di genere, la violenza che pervade le nostre società, lo specismo e le lotte politiche. Al fine di raggiungere un’inclusività tale da poter mettere in questione ogni aspetto della nostra vita – intesa come perenne relazione con altri corpi e con simboli culturali – e con lo scopo di smascherare ogni forma di violenza che la cultura antropocentrica e patriarcale ci ha consegnato in eredità, Adams si è posta in prima linea.

Come Aristotele ci ricorda nella Poetica l’uomo è per natura un essere che imita, e grazie all’imitazione conosce ciò che lo circonda.”

Per leggere la recensione completa seguire il link:
https://www.filosofemme.it/2020/03/27/carne-da-macello/

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«Così la nostra cultura ha istituzionalizzato l’oppressione degli animali» – Carol J. Adams su Corriere.it

È uscito sul Corriere online un bell’articolo della giornalista Silvia Morosi su “Carne da Macello. La politica sessuale della carne” di Carol J. Adams.

Eccone un estratto:

“Arriva in Italia «Carne da macello», la traduzione del libro considerato la «Bibbia del veganesimo». Il testo esplora la relazione tra patriarcato e consumo di carne, intrecciando le intuizioni del femminismo, del vegetarianismo, della difesa degli animali.

«Viviamo in una cultura che ha istituzionalizzato l’oppressione degli animali su almeno due livelli: in strutture come macelli, mercati della carne, zoo, laboratori e circhi; e attraverso la nostra lingua. Il fatto che ci riferiamo al consumo di carne piuttosto che al consumo di cadaveri è un esempio centrale di come la nostra lingua trasmette l’approvazione della cultura dominante di questa attività». È questo uno dei punti centrali di «The Sexual Politics of Meat» di Carol J. Adams. Uscito per la prima volta negli Usa nel 1990 e da allora ristampato numerose volte, già tradotto in 10 lingue e ampliato dall’autrice in occasione del ventennale («The Pornography of Meat»), il testo arriva anche in Italia per VandA Edizioni come «La politica sessuale della carne» (dall’8 marzo, con traduzione di Matteo Andreozzi e Annalisa Zabonati). Il testo esplora la relazione tra patriarcato e consumo di carne intrecciando le intuizioni del femminismo, del vegetarianismo, della difesa degli animali e della teoria letteraria. Dalle radici storico-culturali ai messaggi visivi e verbali che nella nostra società e nella cultura popolare associano il mangiar carne e la mascolinità. «Ho avuto l’idea nel 1974 quando studiavo la teoria femminista ed ero appena diventata vegetariana (oggi è vegan, nda). Mentre camminavo verso Harvard Square a Cambridge, mi sono resa conto che il consumo di carne faceva parte di una cultura patriarcale», racconta al Corriere della Sera Adams, «rendendomi conto che il femminismo offriva un approccio teorico per comprendere quanto le proteine vegetali siano più sane, meno distruttive per l’ambiente e per gli animali». “

Per leggere il seguito:
https://www.corriere.it/animali/20_marzo_04/carol-j-adams-cosi-nostra-cultura-ha-istituzionalizzato-oppressione-animali-e6cc5658-5d36-11ea-ad92-9d72350309c8.shtml

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“Carne da Macello” – intervista su Radio Radicale

Radio Radicale parla di noi nell’intervista a Matteo Andreozzi e Annalisa Zabonati, traduttori e curatori dell’edizione italiana di “Carne da macello, la politica sessuale della carne” di Carol J. Adams, realizzata da Cristiana Pugliese con Silvia Molè (membro dell’Associazione radicale Parte in Causa – Associazione Antispecista).

L’intervista è stata registrata martedì 3 marzo 2020 alle 18:45.

Nel corso dell’intervista sono stati trattati i seguenti temi: Animali, Antispecismo, Cultura, Donna, Femminismo, Libro, Societa’.

Potete ascoltare l’intervista al link: http://www.radioradicale.it/scheda/600021

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I corpi consumabili dell’oppressione – L’intervista a Carol J. Adams su «Il Manifesto»

In un momento in cui il pensiero femminista sembra acquistare crescente visibilità nel panorama editoriale italiano, che rende finalmente – talvolta nuovamente – disponibili autrici come Donna Haraway, Monique Wittig, Valerie Solanas, non poteva mancare all’appello Carol Adams con Carne da macello. La politica sessuale della carne (comparso per la prima volta nel 1989 con il titolo di The Sexual Politics of Meat), per i tipi di VandA (pp. 360, euro 18, traduzione di Matteo Andreozzi e Annalisa Zabonati, postfazione di Barbara Balsamo e Silvia Molè). Testo chiave dell’ecofemminismo statunitense e dell’antispecismo militante, il libro propone una critica del carnivorismo patriarcale con l’obbiettivo non soltanto di fornire un quadro dell’oppressione della vita animale, ma soprattutto di mettere in atto nuove pratiche di cura. Allieva di Mary Daly, teologa e femminista radicale autrice di Gyn/Ecology (1978), e per numerosi anni prima di dedicarsi alla scrittura attiva nelle lotte per il diritto alla casa e contro la violenza domestica, nel libro Adams ribadisce che creare alleanze significa innanzitutto lavorare trasversalmente, senza separare umani e non umani, e scardinando le gerarchie che discriminano i viventi e legittimano la subordinazione di alcuni e il privilegio di altri. Il libro, che discute i «testi della carne» nelle diverse tradizioni, pratiche e relazioni sociali della cultura occidentale, e nelle sue espressioni verbali e visuali, insiste sull’interdipendenza fra la violenza simbolica e materiale esercitata sui corpi umani animalizzati e quella inflitta ai corpi degli animali non umani, le cui implicazioni vanno oltre la dimensione di genere: referenti assenti sono tutti quei corpi smembrati, macellati, stuprati, oggettivati che diventano, pertanto, consumabili. In occasione della pubblicazione di Carne da macello (presentato in anteprima a Roma nell’ambito di «Feminism» il 5 marzo alle ore 17 in sala 2 Caminetto con Barbara Balsamo, Silvia Molè e Flavia Fechete) abbiamo intervistato Carol Adams.

(continua a leggere scaricando il pdf)

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Il teatro sposa la politica delle donne – Recensione di “Donne che attraversano la scena teatrale”

Nell’ultimo numero della rivista Leggere Donna è uscita una bella recensione del nostro libro “Donne che attraversano la scena teatrale” di Donatella Massara, firmata da Serena Fuart.

Donne che attraversano la scena teatrale” è un sette pièce di Donatella Massara, andate in scena in questi anni con la compagnia teatrale Donne di parola. Un teatro dove prende corpo ora la storia delle donne ora la parola, la politica e l’ironia femminista. Le biografie e l’opera di artiste e scrittrici hanno ispirato la sua drammaturgia, maturata con la passione per la differenza sessuale. L’autrice diventa così una cantora che raccoglie vite ed esperienze del nostro tempo.

Di seguito alcuni estratti della recensione.

“Il libro unisce la passione artistica dell’autrice alla sua pluriennale esperienza politica nel movimento femminista della differenza sessuale. Ne esce un testo che scardina i tradizionali punti di vista della storia e dell’arte per farne una rilettura originale in chiave femminista. In questo libro l’arte teatrale sposa la politica delle donne nel senso che, attraverso l’arte scenica, l’autrice fa anche politica femminista: il libro è, principalmente ma non solo, un viaggio di donne, donne in relazione tra loro, che attraverso i testi teatrali, scritti da Donatella Massara e fedelmente riportati, ci portano dentro la vita e la storia di grandi protagoniste.”

“Un altro aspetto politico del libro è certamente quindi il cambio di prospettiva con cui si legge la realtà: nella cultura mainstream le donne che si sono distinte per aver disatteso i classici ruoli di mogli e madri vengono spesso etichettate come pazze, malate o, nella migliore delle ipotesi si descrive il loro successo in quanto mogli o parenti di qualche uomo illustre. Donatella dà alle protagoniste il ruolo di soggetti attivi, con una loro storia e una loro prospettiva esistenziale.”

“Si tratta insomma di un libro che presenta più piani, più livelli: storico, politico, emotivo. Inoltre la scrittura di Donatella, raffinata ed elegante, ci conduce per mano dentro vite, storie, vissuti, emozioni, arte e cultura. Ci fa gustare delicatamente ogni dettaglio culturale e riferimento politico della differenza sessuale. Un libro che mentre si legge, trasforma, perché, si sa, quando c’è una pluralità di punti di vista avviene il cambiamento dentro e fuori di noi.”

Per la recensione completa vi invitiamo a seguire il seguente link e a scaricare la rivista in formato pdf: https://www.leggeredonna.it/2019/11/03/leggere-donna-n-185/

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Quanto ma soprattutto dove ci tocca la prostituzione?

È uscita sull’Osservatorio della Rivista dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti, una bella recensione del nostro saggio “Né sesso né lavoro. Politiche sulla prostituzione” di Daniela Danna, Silvia Niccolai, Grazia Villa, Luciana Tavernini, firmata da Cristina Luzzi, Dottoranda in Giustizia costituzionale e diritti fondamentali nell’Università di Pisa.

Vi lasciamo il link diretto per scaricare il Pdf con l’articolo:
https://www.osservatorioaic.it/it/osservatorio/ultimi-contributi-pubblicati/cristina-luzzi/recensione-del-libro-di-daniela-danna-silvia-niccolai-grazia-villa-luciana-tavernini-ne-sesso-ne-lavoro-politiche-sulla-prostituzione-vanda-epublishing-2019 

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La prostituzione: né sesso né lavoro


di Doranna Lupi (Viottoli n. 1/2019)


Né sesso né lavoro è il titolo dell’incontro del 15 marzo scorso a Pinerolo, realizzato nell’ambito di IO L’OTTO SEMPRE, esito di un tavolo organizzato dall’Assessora alle Pari Opportunità Francesca Costarelli con le associazioni che sul territorio si occupano di contrastare la violenza degli uomini sulle donne: E.M.M.A. Centri Antiviolenza Svolta Donna, Anlib, il Gruppo uomini di Pinerolo, Liberi dalla Violenza – Centro di ascolto disagio maschile.

Sono state invitate per l’occasione l’avvocata Grazia Villa e la storica Luciana Tavernini che, con la sociologa Daniela Danna e la costituzionalista Silvia Niccolai, hanno scritto il libro Né sesso, né lavoro. Politiche sulla prostituzione (VandA.ePublishing, 2019). Questo libro è nato dall’incontro Sulla prostituzione al Circolo della rosa presso la Libreria delle donne di Milano del 10 marzo 2018 e dall’impegno femminista di Angela Di Luciano, una delle editrici di VandA.ePublishing.

Alcune femministe hanno ripreso a ragionare sulla prostituzione per il timore di cattive leggi, nate da idee improvvisate, anche perché in Italia ci troviamo di fronte a diversi tentativi di stravolgere o soppiantare la legge Merlin, che prende il nome della senatrice socialista che ascoltò e dialogò con oltre 2000 donne prostituite nelle case chiuse. Ne è testimonianza la selezione di lettere tra quelle a lei inviate dalle ragazze delle case chiuse e ora ripubblicate. Lina Merlin, coinvolta fin da giovane nella lotta antifascista, condannata al confino, militante della Resistenza, eletta all’Assemblea Costituente (sua la dicitura “senza distinzione di sesso” nell’art.3 della Costituzione sul principio di uguaglianza), impiegò dieci anni per far varare questa legge, che non è piaciuta sin dall’inizio persino a uomini del suo stesso partito. Lei sosteneva che fosse inopportuno chiedere agli uomini le loro impressioni sulle case di tolleranza, per ovvi motivi. Silvia Niccolai argomenta come a interpretare la legge siano stati gli uomini e non lo abbiano fatto con serenità. «La legge Merlin non ha incontrato sostegno interiore negli interpreti, ma scetticismo e malsopportazione e questo ha contato parecchio nel disfarne il senso e il valore» (p. 80). Esaminando la legge e la giurisprudenza, Niccolai ha constatato come molte interpretazioni non ne hanno rispettato il vero significato, quello cioè di configurare la prostituzione come un’attività in sé lecita, ma al tempo stesso di punire tutte le condotte di terzi che la agevolino o la sfruttino.

L’argomento trattato è di grande attualità. Il 6 di marzo 2019 una sentenza della Corte costituzionale ha dichiarato non fondati i dubbi sulla costituzionalità della legge Merlin. Otto associazioni femministe e la Presidenza del Consiglio dei Ministri si sono costituite nel procedimento dinanzi alla Consulta, opponendosi alla questione di legittimità costituzionale di alcuni articoli della legge sollevata nei mesi precedenti dagli avvocati di due imputati nel processo d’appello a Bari sulle escort portate, tra il 2008 e il 2009, dall’imprenditore Gianpaolo Tarantini nelle residenze private dell’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.

Prostituirsi è lecito, ma non lo è aiutare le persone a vendere il proprio corpo o trarre guadagni o altre utilità dalla prostituzione altrui. Resta quindi in Italia il reato di sfruttamento della prostituzione messo in discussione da chi pensa che una donna può decidere liberamente di prostituirsi e che sia una forma di autodeterminazione.

Come ben illustrato dall’accurato lavoro di Grazia Villa, nelle ultime due legislature sono state depositate 22 proposte e disegni di legge riguardanti il tema della prostituzione che, messi a confronto, rivelano un’inaspettata convergenza di opinioni sulla definizione del fenomeno prostitutivo tra esponenti di gruppi di politici diversi, per storie e genealogie spesso contrapposte, convergenza che conduce a una uniformità di giudizi e spesso di scelte (p. 127).

Le principali tra queste opinioni, condivise anche tra posizioni politiche che sembrano proporre concezioni differenti dei rapporti tra i sessi, sono: l’ineluttabilità della prostituzione, la critica alla legge Merlin per la mancata risoluzione del fenomeno o addirittura per il suo aggravamento, la collocazione dell’industria prostitutiva nelle logiche del mercato e ancor meglio del mercato globale, la distinzione tra tratta e prostituzione liberamente scelta da chi la esercita.

La prostituzione è un lavoro come un altro?

Si tratta di visioni che rispecchiano una parte delle politiche sulla prostituzione a livello internazionale, analizzate con precisione da Daniela Danna nel primo capitolo. Ciò che le accomuna è che si parla di prostituzione come lavoro e questo è molto distante dalla legge Merlin. Come sottolineato in diversi punti del libro, ci si è arrivati nel corso del tempo, anche attraverso l’uso di un linguaggio fuorviante con conseguenti slittamenti di significato. Per esempio, definendo la prostituzione sex work come fosse una qualunque professione, i prostitutori diventano clienti che effettuano transazioni economiche, i tenutari di bordelli imprenditori, gli sfruttatori datori di lavoro e le donne che mettono i loro corpi a disposizione libere professioniste. Ma la prostituzione può essere considerata un mestiere come un altro? La vagina può essere un luogo di lavoro e di produttività economica? «Il sito South Melbourne Community Health consiglia alle escort di non utilizzare anestetico locale perché la mancanza di sensibilità impedisce che le lesioni siano notate immediatamente» (p. 30).

Non si degrada così il senso di tutto il lavoro? Luciana Tavernini rende bene l’idea di come in questo modo passi sul corpo delle donne un tentativo di «separare chi lavora da ciò che deve dare per il salario», rendendo accettabile la vendita totale di sé e nascondendo i rapporti sociali sottesi. Riprende Julia O’Connell Davidson che ricorda un episodio, citato da Marx nel Capitale, in cui si racconta come mister Peel avesse portato in Australia, oltre a mezzi di sussistenza e di produzione, anche trecento uomini, donne e bambini della classe operaia, che se ne andarono appena videro come fosse possibile trovare altrove mezzi per vivere meglio, lasciandolo senza neppure un servo. Marx conclude che per trasformare le sue cose in capitale mister Peel avrebbe avuto bisogno di esportare i rapporti sociali che costringevano gli uomini e le donne che aveva portato con sé a vendersi di loro spontanea volontà (p.196).

I rapporti sociali che mettono la donna nella condizione di vendersi “spontaneamente” sono segnati dall’asimmetria tra i sessi. L’uso dei corpi femminili attraverso il denaro è un’istituzione fondante del patriarcato.

Dunque si tratta di un tema importante per la libertà e la dignità delle donne e per le relazioni tra i sessi e, essendo il nostro un tempo in cui si comincia a credere alle parole delle donne, sono stati tradotti, come atto politico, dalle amiche di Resistenza Femminista, dei testi straordinari e dirompenti. Uno è Stupro a pagamento. La verità sulla prostituzione di Rachel Moran (Round Robin, 2017) dove l’autrice narra, partendo dalla propria esperienza, l’orrore vissuto nella prostituzione analizzandone il senso (una mia recensione è nel numero 1/2018 di Viottoli); l’altro è Il mito Pretty Woman. Come la lobby dell’industria del sesso ci spaccia la prostituzione di Julie Bindel (VandA.ePublishing, 2019) che raccoglie 250 interviste fatte a sopravvissute alla prostituzione, attivisti per i diritti delle sex worker, papponi, compratori di sesso e proprietari di bordelli in 40 paesi, città e stati del mondo. Fino a oggi mancava un punto di vista italiano che scaturisse dalla nostra storia, dall’approccio alla prostituzione segnato dalla legge Merlin, dal nostro femminismo e che «declinasse in italiano l’indignazione nei confronti degli uomini che si permettono di comprare il sesso delle donne» (p. 14). Abbiamo dunque una trilogia per comprendere meglio il fenomeno prostitutivo al di là di slogan e stereotipi e avere così un quadro più completo su un tema complesso, che riguarda tutte e tutti.

Sicuramente ciò verso cui ci spingono a riflettere queste autrici è cominciare a pensare alla possibilità di abolire la prostituzione. Gli uomini la devono finire di violare i corpi di donne e bambine a loro piacimento e con il benestare degli altri uomini, secondo una concezione maschile degradata del desiderio e della sessualità: l’uso – o meglio abuso – del corpo femminile reso disponibile per denaro è una manifestazione della protervia maschilista con cui gli uomini si considerano superiori alle donne (ancora poche sono le eccezioni), e un’istituzione fondante della struttura sociale denunciata dalle donne come patriarcato (p. 16).

La battaglia delle narrazioni

Siamo ben consapevoli che la posta in gioco è molto alta: sono in ballo due narrazioni della realtà che, in questo tempo di fine patriarcato, si mostrano confliggendo. Entrambe le narrazioni fanno parte di un senso comune che le ha generate: quello più antico che sostiene, a favore degli uomini, l’ineluttabilità della prostituzione vista come un fenomeno vecchio come il mondo che sempre è esistito e sempre esisterà, un fatto naturale che risponde a un bisogno irrefrenabile della sessualità maschile e che in tempi moderni va regolamentato; quello più recente delle donne che hanno messo in discussione l’ordine simbolico patriarcale e, partendo dalla loro esperienza condivisa, dai loro rapporti di sorellanza, valutano in prima persona ciò che è giusto e ciò che è sbagliato per loro stesse e per le altre.

Grazie a un sentire femminile condiviso e a un bisogno contagioso di verità e giustizia per se stesse e per tutte le appartenenti al proprio sesso, sin dagli inizi del Novecento si è prodotto uno spostamento simbolico, attraverso la presa di parola delle donne. Luciana Tavernini riporta testimonianze di donne uscite dalla prostituzione grazie ad altre, narrazioni riprese e valorizzate dal femminismo degli anni Ottanta. Oggi possiamo sentire cosa dicono le sopravvissute, le giuriste, le femministe.

La prostituzione è uno scambio: lui ha i soldi, lei ha il corpo. La storia di sesso e potere del nostro ex premier Berlusconi ce lo ha mostrato. Ida Dominijanni lo ha spiegato bene nel suo libro Il Trucco. Sessualità e biopolitica nella fine di Berlusconi, (Ediesse, 2014). Quando le donne hanno parlato pubblicamente, come nel caso di Sofia Ventura, Veronica Lario e Patrizia D’Addario, sono caduti personaggi importanti della politica.

Quindi per quanto riguarda la prostituzione «la battaglia delle narrazioni» (Lia Cigarini in Sottosopra – Cambio di Civiltà, 2018) è in pieno svolgimento. Dove ha vinto la narrazione maschile neoliberista si regolamenta la prostituzione come ad esempio in Danimarca, Paesi Bassi e Germania. Un episodio significativo delle possibili conseguenze è stata la necessità del pronunciamento di un tribunale in Germania perché le donne disoccupate non fossero obbligate ad accettare di lavorare nei bordelli per non perdere l’assegno di disoccupazione.

Vedendo che questa modalità scricchiola e non funziona ad aprile 2019 sono state consegnate al parlamento olandese 42.000 firme per chiedere l’introduzione del modello nordico che rende illegale avere rapporti sessuali a pagamento.

Dove ha vinto la narrazione femminile (femminista) si sa, perché lo dicono le sopravvissute alla prostituzione e perché ogni donna lo sa nel profondo di se stessa, che la prostituzione per le donne è un inferno, è violenza, umiliazione, è stupro a pagamento. Allora il modello di riferimento è quello cosiddetto nordico in vigore in Svezia dal 1999 e successivamente in Norvegia, Islanda, in Irlanda e Irlanda del Nord e, dall’aprile 2016, anche in Francia. Questo modello punisce l’acquisto di sesso multando colui che pretende di acquistarlo, decriminalizza le persone prostituite, prevede la creazione di programmi di uscita su scala nazionale, politiche di protezione e sostegno per le vittime di prostituzione, sfruttamento sessuale e tratta, programmi rieducativi per i clienti (prostitutori). La Corte costituzionale francese, con una sentenza del 1° febbraio 2019, ha stabilito che la penalizzazione dell’acquisto di prestazioni sessuali, prevista dalla legge n. 444 del 13 aprile 2016 in tema di lotta contro il sistema prostituzionale, è costituzionalmente ineccepibile.

CAP (Coalition Abolition Prostitution) international ha contribuito alla mobilitazione di una vasta rete di soggetti in sostegno della legge. Sei ministri della precedente legislatura per i diritti delle donne, 30 medici rinomati, una coalizione di uomini che si opponeva all’acquisto di sesso hanno scritto lettere aperte e rilasciato dichiarazioni sulla stampa chiedendo al Consiglio Costituzionale di mantenere la criminalizzazione dell’acquisto di sesso.

In Svezia, infatti, il numero di persone prostituite è diminuito sensibilmente. Secondo la polizia svedese, il provvedimento ha esercitato un notevole effetto deterrente sulla tratta. La legge ha anche modificato l’opinione pubblica.

Nel suo testo Grazia Villa, avvocata di Como, racconta come Oike, una donna sopravvissuta alla tratta, fosse tornata allo sportello per migranti a raccontare di aver trovato casa e un «vero lavoro» perché «altro non è mai lavoro, mai, mai, mai!» Aveva con sé dolcetti per ringraziare e una sciarpa rossa per Grazia, l’avvocata che l’aveva seguita nel suo percorso legale. «In quel semplice gesto di gratitudine, però, c’era il riscatto e l’autodeterminazione di una donna, la forza della nostra alleanza: un sogno avverato, una rivoluzione possibile» (p. 175).

Affrontare questo tema doloroso e scomodo ci dà l’opportunità di mettere in discussione e di riflettere sui rapporti tra uomini e donne e sui mutamenti necessari per un cambio di civiltà.

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Liberazioni


di Clotilde Barbarulli (Il Manifesto Le monde diplomatique, giugno 2019)


MANIFESTI FEMMINISTI 
Il femminismo radicale attraverso i suoi scritti
programmatici (1964-1977)
Deborah Ardilli (a cura di)
VandAePublishing/Morellini (2018) 15.90 euro

Il libro raccoglie, con una interessante introduzione, una selezione di testi del femminismo radicale dalla seconda meta degli anni Sessanta alla seconda metà degli anni Settanta in Italia, Francia e Stati Uniti, per offrire supporti testuali alle più giovani così da ricostruire una trama significativa di pensieri nel percorso politico delle donne. Il manifesto, fra rabbia politica e proiezione utopica, si presta a restituire l’articolazione di quella stagione, attraversata da diverse correnti e segnata dalla presa di coscienza delle donne, il soggetto imprevisto, che prende forza dalle relazioni fra donne. L’implicazione logica della rivolta delle donne è che la loro condizione può essere modificata, che il rapporto sociale che le definisce come la natura, il sesso, la differenza, l’alterità complementare all’uomo, può essere sovvertito. Se l’orizzonte è comune, la varietà delle posizioni rappresentate mette in luce che il femmininismo radicale è una modalità storicamente e geograficamente situata «di pensarsi, di agire e di pensare il propria agire». Il significato di radicale slitta dall’ambito della controcultura e della nuova sinistra al movimento di liberazione delle donne che rifiutano di considerare la propria oppressione come una ricaduta secondaria delle contraddizioni di classe, e che riconoscono l’impossibilità sociale dell’uguaglianza all’interno di un sistema etero-patriarcale. Così se una giovane americana era considerata radicale quando apparteneva alla frastagliata area dell’attivismo studentesco per i diritti civili e contro la guerra in Vietnam, successivamente la radicalità si riferisce al movimento delle donne perché prende le distanze dalle organizzaioni femminili di impronta emancipazionista, staccandosi dalla militanza mista. Ardilli ritiene giustamente importante far conoscere il passato – restituendo «un minimo di respiro storico» ai ragionamenti oltre la «densa coltre di sentito dire» – e mettere così in luce la complessità del rovesciamento di prospettiva di quegli anni.


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Ecco perché il «sex work» non esiste: 8 falsi miti sulla prostituzione


di Antonella Mariani (Avvenire, 8 maggio 2019)


Non è una scelta, non è libertà né autodeterminazione. E la Legge Merlin è ancora viva e vegeta. In un saggio quattro studiose spiegano perché la prostituzione si deve abolire. Come la schiavitù.

La prostituzione può essere considerata un lavoro? No, per nulla. Il sex work (come ora si usa dire per nascondere la realtà dei fatti, cioè la sopraffazione e l’abuso nascosti in un rapporto sessuale a pagamento) non è affatto un lavoro. E non è nemmeno sesso. Con passione e competenza quattro esperte in diversi campi analizzano il mercato del sesso in Italia, un Paese in cui una ottima legge (la Merlin del 1958), animata da una forte tensione etica, è ancora ben lungi dall’essere applicata fino in fondo: la lotta alla tratta non è una priorità e sulla prostituzione vige il laissez-faire, mentre si moltiplicano proposte di legge che mirano, sessant’anni dopo, alla riapertura delle case chiuse.

In “Sew work, né sesso né lavoro” (VandA, pagg. 208, euro 15,90) la sociologa Daniela Danna offre uno sguardo sulle politiche sulla prostituzione in vari Paesi del mondo. La giurista Silvia Niccolai ripercorre la vita travagliata della Legge Merlin, che oggi si vorrebbe ingiustamente smantellare, l’avvocata Grazia Villa commenta le tante proposte di legge avanzate in Italia e infine la pedagogista Luciana Tavernini ragiona sul rapporto tra gli uomini e la prostituzione, e tra quest’ultima e il femminismo, anche alla luce del movimento antimolestie #Metoo.

Nel complesso, un libro prezioso, che offre un contributo di documentazione e di riflessione per chi è convinto, come lo sono le autrici, che la linea giusta sia quella di abolire la prostituzione, così come in passato si è arrivati a cancellare la schiavitù. La presentazione del libro si terrà sabato 11 maggio alle 18 alla Libreria delle Donne di Milano, presenti Danna e Niccolai.

Servendoci dei contenuti di questo libro, largamente citati, abbiamo provato a sfatare alcuni tra i falsi miti più diffusi sulla prostituzione.

1) La prostituzione può essere una scelta, espressione della libertà sessuale e dell’autodeterminazione femminile. FALSO

Molte ex prostitute (le cosiddette sopravvissute, la più famosa delle quali è Rachel Moran che ha raccontato la sua esperienza in Stupro a pagamento) chiariscono come la prostituzione non è mai una libera scelta, nemmeno quando si tratta delle cosiddette escort. Nessuna donna può essere felice di essere umiliata e trattata come una merce. Chi si prostituisce di fatto rinuncia alla sua autodeterminazione sessuale, quindi alla sua libertà. Chi difende la (presunta) libertà della donna di prostituirsi in realtà difende la possibilità del cliente di approfittare del suo corpo. Quanto alla libertà di impresa economica, essa non ha diritto di essere riconosciuta come tale se genera profitti ingiusti, come pensava la senatrice Lina Merlin richiamandosi all’articolo 41 comma 2 della Costituzione (L’iniziativa economica privata (…) non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana). La prostituzione, anche se “libera”, rientra nel caso di un’economia immorale che alimenta i suoi profitti con lo sfruttamento puro e semplice del corpo delle donne. La prostituzione, in conclusione, è la negazione della libertà: è la dimostrazione che tutto – perfino la sfera sessuale – è misurabile con denaro, in un’ottica biecamente consumistica e capitalistica.

2) Si deve legalizzare la prostituzione: se le donne stanno al chiuso sono più protette. FALSO

Chi sostiene questo sta dalla parte degli sfruttatori e dei trafficanti di esseri umani che riforniscono i bordelli della merce-sesso. L’esperienza dimostra che oggi, in Germania come negli Stati Uniti, nei bordelli legali si trovano normalmente donne vittime di tratta, in gran parte straniere, soggette a violenze sessuali e in generale fisiche in misura ancora maggiore di coloro che esercitano “all’aperto”, dato che i clienti, poiché hanno pagato e si trovano in una situazione priva di rischi, si sentono legittimati a fare ciò che vogliono.

3) Con la legalizzazione almeno le prostitute pagherebbero le tasse e il Pil sarebbe più alto. CINICO

È quantomeno cinico considerare lo sfruttamento del corpo delle donne come una economia “sommersa” da far emergere, per partecipare anch’essa alla crescita del Pil. “Ce lo chiede l’Europa”, è la giustificazione che porterebbe, in nome del dio-Pil, ad abbatterebbe ogni confine alla mercificazione femminile.

4) Il lavoro sessuale (sex work) è un lavoro come gli altri. FALSO

Niente affatto, e lo dimostrano le testimonianze di chi è uscito dal “mercato”, che parlano di umiliazioni e soprusi continui. Ma è l’idea stessa di scambiare rapporti sessuali con denaro ad essere contraria alla dignità della donna e alla parità di genere. Nonostante la prostituzione sia regolamentata in diversi Paesi, la sessualità non è un bene commerciabile. Il termine “servizio sessuale” nasconde l’abuso; legalizzare il lavoro sessuale significa trasformare il corpo della donna in luogo di lavoro e legalizzare l’abuso sessuale. La differenza soggettiva con uno stupro è solo perché si è pattuito di non fare resistenza. Il “lavoratore del sesso” rinuncia alla propria sfera intima e mette sul mercato non solo la propria forza lavoro ma principalmente l’intimità sessuale, cosa che è strettamente tutelata in qualsiasi altro impiego. In ogni lavoro ogni sopraffazione, ogni abuso sono severamente perseguiti dalla legge, qui invece ne sono parte essenziale. Quindi, sex work non è lavoro. E non è nemmeno sesso.

5) Poter esercitare il sex work è un diritto umano. FALSO

Questo è il falso mito diffuso in particolare da alcune agenzie per i diritti umani (tra cui Human Right Watch, l’Oms, Unaids e Amnesty International), secondo il quale i sex workers sono un gruppo oppresso. In realtà il diritto che il modello del sex work difende è quello di chi compra, che vuole essere libero di offrire denaro per ottenere una prestazione sessuale. Chi la vende, invece, è solitamente in uno stato di bisogno. E le persone più deboli della società dovrebbero poter far valere ben altri diritti umani: al cibo, alla casa, alla sanità, al lavoro.

6) La prostituzione è una cosa, la tratta è un’altra. INGENUO

Chi sostiene questo finge di non sapere che per un cliente non c’è nessuna differenza tra “merce libera” e “merce trafficata”. Anzi, la maggior parte dei clienti cerca ragazze molto giovani, poco più che bambine. Come può credere che siano libere? In alcuni ambienti utraliberisti la finzione è così avanzata che si cancella la parola tratta per parlare di migrazione per il sex work. Al contrario la posizione abolizionista, condivisa da una parte importante e qualificata del mondo femminista, “considera la tratta non il caso particolare di ciò che di malvagio accade nella prostituzione, ma che l’acquisto dell’accondiscendenza al proprio sfogo sessuale diretto sul corpo altrui – quasi sempre femminile – è violento e inumano di per sé” (Daniela Danna).

7) Non ci sono solo donne nel mercato del sesso. IRRILEVANTE

No, ma sono la maggioranza. La narrazione di persone transessuali e ragazzi gay che rivendicano di scegliere la prostituzione non può oscurare le voci, sempre più numerose, di ex prostitute (le sopravvissute) che denunciano il falso mito della libertà di prostituirsi.

8) La Legge Merlin ha fatto il suo tempo. Bisogna prendere atto che è superata. FALSO

La Legge Merlin stabiliva un principio tuttora valido: il corpo di una donna non può essere oggetto di regolamentazione pubblica, perché questo offende l’eguaglianza e la libertà di ciascuna e mette a repentaglio le coordinate di una convivenza civile. Non considera affatto l’attività della prostituta lecita o libera, ma vuole tutelare la donna che si prostituisce come una cittadina, e rivolgere il suo giudizio d’immoralità non alle prostitute ma al mercato che le sfrutta. La Legge Merlin non è superata, bensì attualissima: persegue la libertà dalla prostituzione, cioè dal non essere considerati una merce in vendita.


 

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Siracusa. Dizionario sentimentale di una città


(Luoghi d’autore, 17 aprile 2019)


Certo un omaggio alla città, ma soprattutto un grande dono ai suoi visitatori, che in qualche ora, i più fortunati in qualche giorno, desiderano cogliere l’anima del luogo. Nel volume Siracusa. Dizionario sentimentale di una città, di Giuseppina Norcia, troviamo espresse in parole emozioni, sensazioni, suggestioni che proviamo andando per le vie di Ortigia;  i vicoli e le stradine che si incrociano, stupiscono il viaggiatore, riportando alla sua memoria luoghi già visti e vissuti: i palazzi e i cortili ricordano il Casco Antiguo di Palma de Mallorca, i muri scrostati e le case abbandonate l’esotica Stone Town di Zanzibar. In questo viaggio nel tempo, sovrapponendo luoghi e cercando i tanti segni del passato, ti accorgi poi anche  che Ortigia rivendica semplicemente e fortemente la sua identità.

Scrive Maria Grazia Ciani nella nota sentimentale, fra le pagine introduttive al volume: « non guida, quanto piuttosto “lettura” di una città, descrizione e memoria storica, rivelazione dell’antico come moderna epifania. Un andirivieni tra il passato che ammicca da ogni angolo e il presente che convive con il ricordo del passato […]»

Racconta Guseppina Norcia nel suo prologo: «Ho dovuto guardarla da lontano per vederla intera […] Poi l’ho abitata ancora. E ho lasciato che mi abitasse. Ne ho cercato l’anima che si rivela senza dissimularsi in maschera, che non lascia la sua luce scivolare via nei sotterranei imprendibili».

Un volume davvero prezioso il Dizionario di Giuseppina Norcia che ho trovato in una storica libreria di Siracusa, nella Casa del libro di Rosario Mascali.  Nota come Libreria Mascali, nel passato fu importante luogo di incontro e di passaggio di vari scrittori fra cui Salvatore Quasimodo, Elio Vittorini, Vitaliano Brancati, Leonardo Sciascia, per citare solo alcuni fra i prestigiosi visitatori.


 

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Il mito di Pretty Woman: l’inganno liberista della prostituta felice


di Antonella Mariani (Avvenire, 16 aprile 2019)


– «È sempre sfruttamento e abuso, anche quando è legale. Un’abile mistificazione alle spalle delle donne più fragili». Parla la giornalista Julie Bindel, autrice di una inchiesta internazionale

Ha visitato i bordelli legali in Australia, Germania, Nevada, Olanda; ha intervistato in tutto il mondo decine di sopravvissute alla prostituzione, proprietari di case di appuntamenti e di agenzie di escort, uomini di governo e compratori di sesso, attivisti per la legalizzazione del «lavoro sessuale» e femministe che al contrario lottano per la sua abolizione. La giornalista britannica Julie Bindel ha compiuto la più vasta ricerca mondiale mai effettuata sulla prostituzione, indagando sui meccanismi che regolano il business e sulle condizione delle donne che vi sono coinvolte. I risultati dell’indagine che le è costata due anni di lavoro e decine di viaggi in tutti i continenti sono condensati in Il mito Pretty Woman (VandA-Morellini, pagine 318, euro 17,90). Un titolo curioso, che già rivela le conclusioni dell’autrice: la lobby dell’industria del sesso anno dopo anno ha «spacciato» l’immagine falsa della «prostituta felice» – a cui peraltro ha dato una grande mano il celebre film interpretato dal Julia Roberts e Richard Gere –, celando la pura e semplice verità per ragioni di bottega: la prostituzione è sempre abuso e sopraffazione, mai libera scelta, e chi afferma – parte del femminismo compreso – che il «sex work» è un lavoro come gli altri e come tale va garantito, commette una crudele mistificazione alle spalle delle donne più fragili e marginali.

Julie Bindel, perché oggi si parla tanto di ‘sex workers’ come se si trattasse di normalissimi lavoratori e lavoratrici?

Grazie all’appoggio di enti come Human Rights Watch, Organizzazione mondiale della salute, Unaids e Amnesty International, il movimento per i diritti dei ‘sex workers’ può presentarsi al mondo come fondato sulla liberazione di un gruppo oppresso. Uno degli argomenti più ridicoli usati da questi cosiddetti gruppi per i diritti umani, è che grazie alla depenalizzazione della prostituzione diminuirà la violenza della polizia e degli sfruttatori contro le donne prostituite. Un altro argomento è che i nuovi casi di Hiv si ridurranno in modo significativo perché i protettori avranno l’obbligo di far usare i preservativi. Ma come ho visto visitando i bordelli legali in Nevada, Germania, Olanda e Australia, è impossibile applicare una ‘regola del preservativo’. In Nevada, ad esempio, alle donne è richiesto di sottoporsi ogni settimana a esami del sangue per assicurare ai protettori che sono sane, dato che molti uomini vogliono acquistare sesso senza protezione. La verità è che il neoliberismo ha innalzato il libero mercato del sesso al di sopra dei diritti umani, in particolare di quelli femminili. Un approccio corretto dovrebbe invece tutelare i diritti delle donne e degli uomini vittime del commercio sessuale. Questo è ciò che accade in Paesi come la Svezia, la Francia e la Repubblica d’Irlanda, che hanno adottato il modello abolizionista, in cui vengono criminalizzati coloro che creano la domanda, cioè i clienti.

Perché l’approccio abolizionista ha molto meno seguito rispetto a quello che reclama la libertà di prostituirsi?

Perché esiste la convinzione che ci saranno sempre uomini che pagano per il sesso e donne che lo vendono. La prostituzione, insomma, appare ‘necessaria’ e in qualche modo un ‘diritto’ del consumatore. I liberali sostengono inoltre che la depenalizzazione di tutte le modalità della prostituzione, compresi i bordelli, renda più sicure le donne e più facile sradicare gli abusi e lo sfruttamento. In quest’ottica i ‘sex workers’ possono essere protetti dai sindacati e da provvedimenti di sicurezza e sanità. Negli ultimi anni, questi argomenti purtroppo si sono fatti strada. Nel 2000 l’Olanda ha formalizzato ciò che era già culturalmente accettato, revocando il divieto ai bordelli e liberalizzando il commercio sessuale. Tre anni dopo, il governo neozelandese ha approvato, con un solo voto, la legge che ha completamente depenalizzato la prostituzione di strada e le case chiuse.

Cosa sostengono invece gli abolizionisti, categoria alla quale lei appartiene?

Gli abolizionisti respingono la descrizione provocatoria di ‘sex work’ e riconoscono che la prostituzione è violenza in un mondo neoliberale in cui la carne umana è diventata una merce, e sfruttamento unilaterale che affonda le radici nel potere maschile. Ritengono che la strada giusta sia aiutare le donne a uscire dal commercio sessuale e criminalizzare la domanda.

Anche il femminismo è diviso sulla posizione da tenere. Perché?

Il problema è che il termine ‘lavoratore del sesso’, coniato negli anni ’80 e oggi sempre più utilizzato dalla polizia, dagli operatori sanitari e dai media, comprende chiunque: pornografi, spogliarellisti e magnaccia, così come coloro che vendono sesso. Negli ultimi dieci anni o più, la discussione sulla prostituzione è stata dominata dai criminali e dagli sfruttatori che gestiscono il commercio sessuale, mascherati da benevoli imprenditori e protettori. Le femministe liberali di tutto il mondo sono state ingannate da una lobby industriale potente e ben finanziata, che impone la sua narrazione, occulta la violenza subita dalle donne e riduce la prostituzione a un lavoro come un altro allo scopo di decriminalizzare l’industria del sesso.

Come si possono contrastare, dunque, le lobby del sesso a pagamento e ridare voce alle vittime?

Fortunatamente un numero crescente di Paesi sta considerando il modello abolizionista. Le organizzazioni femministe guidate da sopravvissute al commercio sessuale, come Space International, affermano la verità dei fatti, al contrario degli sfruttatori e dei propagandisti: la prostituzione è violazione dei diritti umani. L’ascesa del movimento abolizionista farà sì che siano ascoltati e creduti coloro che hanno fatto parte del commercio sessuale e ne sono usciti, piuttosto che coloro che traggono profitto o comunque beneficiano della vendita di carne femminile.

Nel suo libro l’universo maschile rimane sottotraccia. Non pensa che a un certo punto diventerà indispensabile cercare l’alleanza con gli uomini per combattere la prostituzione?

Sì, gli uomini devono esprimersi contro il commercio sessuale e riconoscere che è una causa e una conseguenza dell’oppressione delle donne.


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La storia di Aisha e di molte altre donne arabe raccontata da Michela Fontana


di Luciana Grillo (TM, aprile 2019)


[Nonostante il velo. Donne dell’Arabia Saudita è un] libro serio e documentato – anche ai nostri [occhi], si è aperto un mondo ricco e arcaico, dove la divisione tra uomini e donne e rigorosa. Ha avuto (e cercato) la possibilità di parlare con tante donne, per esempio con Aisha che nel 1990 aveva guidato l’automobile nelle strade di Riad, insieme ad altre li quarantasette donne…arrestate e imprigionate per una notte, interrogate e rilasciate dopo che i mariti (o i parenti prossimi di sesso maschile) sono stati convocati per riaccompagnarle a casa. Aisha è un’interlocutrice importante per Fontana, le descrive il comportamento dei giudici che rifiutano quasi sempre di ammettere all’udienza una donna che non indossi il velo totale o le impongono di parlare sottovoce, perchè la voce femminile e considerata un pericoloso strumento di seduzione. Michela Fontana ha parlato con trasporto di questa esperienza, ha affascinato il foltissimo pubblico presente, che si e accontentato di stare in piedi o di sedersi sui gradini, pur di non perdere una parola…


 

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Davvero si può essere prostitute per scelta?


di Laura Badaracchi (Donna Moderna, 10 aprile 2019) – foto di Lindsay Irene


– «La prostituzione è sempre abuso a pagamento, mai un lavoro. È un modo per dare un’apparenza rispettabile al commercio sessuale: nei paesi in cui il fenomeno è regolamentato i “papponi” sono diventati manager e le donne “sexworker”».

INCHIESTA – DAVVERO SI PUÒ ESSERE PROSTITUTE PER SCELTA?

Negli ultimi 6 mesi gli annunci delle sex worker sono aumentati del 24%. Un trend, in crescita già da anni, che ha spostato l’offerta di sesso dalla strada al web. Ma capire se dietro a questo business ci siano escort “libere” o sfruttate è difficile. Come denunciano le associazioni e un’attivista che ha indagato sul mercato delle Pretty Woman

IL PROGETTO FOTOGRAFICO

Le immagini di questo servizio fanno parte del progetto della fotografa canadese Lindsay Irene, intitolato “The sex workers”. «Volevo cambiare la percezione con cui le persone vedano le prostitute» dice Lindsay. «Ho viaggiato un anno per il Canada e ho fotografato diverse lavoratrici del sesso nella loro quotidianità. Molte di loro vivono nello stigma sociale, hanno perso figli e famiglie. Le mostro per quello che sono: persone come noi».

Secondo un’indagine EscortAdvisor.com (uno dei portali di recensioni di escort più frequentati), negli ultimi 6 mesi gli annunci di incontri sessuali pubblicati sul web sono aumentati del 24%. La ricerca rileva anche che in 10 anni il numero di donne che praticano il sesso a pagamento sulle strade è drasticamente calato: nel 2009 la percentuale di prostitute che esercitava all’aperto era l’8o% del totale, si è passati al 40% nel 2019. Le sex worker sembrano dunque aver scoperto il web e luoghi di lavoro più casalinghi (il Codacons ne segnala circa 18.000). Per Mike Marra, fondatore del sito EscortAdvisor.com che richiede alle iscritte i documenti per verificarne l’identità, «lavorare attraverso la Rete offre minori spazi per la criminalità e maggiore sicurezza». Un’affermazione, però, che non convince. Soprattutto chi da anni si occupa di proteggere le schiave del sesso.

«È difficile capire se dietro l’annuncio di una escort ci sia uno sfruttatore». Tiziana Bianchini è responsabile dell’Area “immigrazione e tratta degli esseri umani” presso la cooperativa Lotta contro l’emarginazione, che dal 2017 collabora a una mappatura nazionale della prostituzione di strada insieme al Cnca (Coordinamento nazionale comunità di accoglienza), alla Piattaforma nazionale Antitratta e al Numero verde antitratta 800290290. Oltre 60 unità di strada in tutta Italia, nello stesso giorno, monitorano sul campo le presenze di persone che si prostituiscono. «Secondo l’ultima indagine del novembre 2018, in seguito al calo degli sbarchi di migranti le nigeriane sono diminuite al 31% e aumentano le donne dell’Est, in particolare romene e albanesi» spiega Bianchini. «Quindi non possiamo parlare di calo complessivo, ma di una riduzione motivata dalle scelte politiche». E riguardo alla prostituzione in casa, che sarebbe più “sicura” e tutelata rispetto a quella in strada, Bianchini è categorica: «Per le donne si riducono ancora di più ai minimi termini le possibilità di contatti sociali esterni e quindi di chiedere aiuto. Abbiamo provato a valutare gli annunci di sesso online, scoprendo in alcuni casi che a diversi numeri di telefono corrisponde sempre la stessa persona. Difficilissimo capire se dietro la escort ci sia uno sfruttatore».

«È un’illusione tentare di regolamentare al chiuso il fenomeno per ridurre quello della strada». Lo scenario descritto dai dati e da Tiziana Bianchini fa da sfondo al dibattito che si è riaperto nel nostro Paese sulle case chiuse, dopo che il mese scorso la Corte costituzionale ha riaffermato la legittimità della legge firmata nel 1958 da Lina Merlin. Questione sollevata dalla Corte d’appello di Bari, secondo la quale la prostituzione sarebbe “un’espressione della libertà sessuale tutelata dalla Costituzione”, e quindi punire intermediatori e clienti equivarrebbe a compromettere l’esercizio di questo diritto, oltre a privare della libertà di iniziativa economica la prostituta. «La senatrice Merlin aveva escluso di considerare la vendita di prestazioni sessuali come un lavoro, e aveva rubricato come crimine ogni attività volta a favorire e sfruttare questo commercio» fa nota-re l’avvocato Grazia Villa, fra le autrici del volume Né sesso né lavoro. Politiche sulla prostituzione (VandA.ePublishing). «Nelle ultime 2 legislature sono stati presentati 22 progetti di legge in materia: in alcuni si chiede la depenalizzazione, in altri vengono ipotizzate norme e sanzioni per i clienti. Ma è un’illusione tentare di regolamentare al chiuso il fenomeno per ridurlo sulle strade: lo dicono i fatti in Germania e Olanda, dove la normativa ha scatenato un boom esponenziale della domanda ma meno di un quarto delle donne che si vendono legalmente è iscritta al sindacato e gode di tutele».

«Non c’è “glamour” per le ragazze che offrono sesso, solo danno». A demolire l’idea della liberalizzazione delle sex workers contribuisce anche l’inchiesta condotta in 40 Paesi dalla giornalista Julie Bindel, autrice del libro Il mito Pretty Woman. Come la lobby dell’industria del sesso ci spaccia la prostituzione (Morellini editore). Secondo Bindel, una donna non può mai dirsi libera di svendere il proprio corpo: «Si tratta sempre di abuso a pagamento, mai di lavoro. Considero la prostituzione un modo per dare un’apparenza rispettabile al commercio sessuale: nei Paesi in cui il fenomeno è regolamentato i “papponi” sono diventati manager e le donne “sexworker”. I bordelli legali presenti in Germania, Olanda e Australia arricchiscono lobby potenti e moltiplicano i compratori di sesso». Invece in Paesi come Svezia, Norvegia, Canada, Corea del Sud, Irlanda e Francia «la legge criminalizza la domanda di sesso commerciale ma non chi vende sesso, per frenare la richiesta. Nel 2014 il Parlamento europeo e il Consiglio d’Europa hanno approvato le raccomandazioni per implementare questo modello come il modo migliore per affrontare la prostituzione». Secondo Bindel la lotta per l’abolizione di questo mercato è parte di un movimento più ampio contro la violenza di genere: «Non c’è “glamour” per le donne che offrono sesso, solo danno. Tutte le prostituite sopravvissute che ho incontrato sono state vittimizzate da trafficanti, sfruttatori, compratori. Nessuno dovrebbe essere pagato per dare accesso al proprio corpo».

I NUMERI

3,6 miliardi Il giro d’affari annuo della prostituzione in Italia.

90.000 Le prostitute donne, uomini o transessuali, in crescita del 28% nel periodo 2007-2014.

3 milioni I clienti delle sex worker in Italia.

Fonte: Codacons


 

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Intervista a Daniela Pellegrini


di Giorgia Succi (Ai Amazones, 27 marzo 2019)


In questa quarta intervista targata Ai Amazones Giorgia dialoga con Daniela Pellegrini, femminista radicale, fondatrice del primo gruppo italiano di autocoscienza femminile nel 1964 (Dacapo poi Demau). Animatrice insieme a Nadia Riva del Circolo Culturale e Politico delle Donne, Cicip & Ciciap fondato dalle stesse nel 1981. Autrice di ‘Una donna di troppo. Storia di una vita politica singolare’(2012), ‘Liberiamoci della Bestia. Ovvero di una cultura del cazzo’ (2016) e ‘La materia sapiente del relativo plurale. Ovvero il luogo terzo delle parzialità’ (2017). Discutiamo di matriarcato, autocoscienza, separatismo e lesbismo politico, dello stato costante di violenza e manipolazione patriarcale e di femminismo contemporaneo. Un’intervista imperdibile di una donna e una pensatrice lucida e fiera nella sua analisi del mondo.

‘E i cosiddetti e auto-detti religiosi e credenti [..] hanno nascoste, ammutolite ed escluse le donne – quando non hanno approfittato dei loro linguaggi e azioni per rendersi belli e accettati dalle masse ingenue. Nello sfruttarle e farle sfruttare a loro piacimento. Hanno escluso le donne proprio perchè ‘femmine’, rifiutate e impedite a partecipare in prima persona di questa divinità di loro ‘maschia’ e boriosa competenza, se non nell’obbedire e nel genuflettersi  [..] hanno però salvato la Madonna che non sarà un caso se è ‘vergine’ ma con figlio maschio e nutrito al seno’ (Daniela Pellegrini, Liberiamoci della Bestia. Ovvero di una cultura del cazzo: 2016)

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Julie Bindel: «Legalizzare la prostituzione non serve»


di Elena Paparelli (Letteradonna, 2 aprile 2019)


– Nel libro Il mito Pretty Woman la giornalista e femminista inglese racconta cosa c’è dietro il mercato del sesso tra lobby e diritti delle donne ripetutamente violati. 

«La prostituzione è una violazione dei diritti umani contro donne e ragazze». Ad affermarlo senza mezzi termini a LetteraDonna è Julie Bindel, autrice del dossier-inchiesta Il mito Pretty Woman. Come la lobby dell’industria del sesso ci spaccia la prostituzione uscito nel 2019 per VandaEpublishing e Morellini editore nella collana VanderWomen (pp. 310, euro 17,90). Contro il mito della ‘puttana felice’, il libro traccia un quadro approfondito del commercio internazionale del sesso – una delle attività più redditizie al mondo – con un lavoro di ricerca sul campo in 40 Paesi, dall’Europa all’Asia, dal Nordamerica all’Australia fino alla Nuova Zelanda e all’Africa, frutto di 250 interviste con papponi, prostitute, sopravvissute, tenutari di bordelli, femministe, giornalisti, agenti di polizia, attivisti per i diritti delle sex workers, associazioni di bisessuali e transgender, vittime di tratta, clienti. Una corposa documentazione per fare il punto su una questione ancora controversa, che divide l’opinione pubblica. Anche in Italia dove spesso, anche nel 2019 su proposta della Lega, si è ventilata la possibilità della creazione di un albo professionale a cui le femministe si sono opposte.

Sul tema Bindel ha le idee chiare: «Sono stata un’attivista femminista contro la violenza maschile nei confronti delle donne dal 1979. Negli ultimi due decenni ho concentrato gran parte delle mie energie nella lotta per l’abolizione del commercio sessuale globale, a fianco di altre donne, molte delle quali sopravvissute allo sfruttamento», racconta la giornalista inglese che ha lavorato per The Guardian, NewStatesman, Bbc e Sky News. «Uno dei miti più perniciosi sul problema propagato dalla lobby del ‘settore’ è che questo non possa essere abolito». Perché esiste una vera e propria lobby dietro all’importante giro di soldi che «il mestiere più vecchio del mondo», come lo definiscono in tanti, frutta. «Molte persone, soprattutto uomini, ma anche alcune donne hanno un interesse particolare a proteggerlo». Con lo stesso identico mantra su cui insistono anche molti politici (anche progressisti e di sinistra): «Se avessi avuto un dollaro ogni volta che ho sentito dire che la prostituzione è sempre stata con noi e sempre lo sarà, le organizzazioni femministe non si troverebbero mai più a corto di fondi». Del resto «negli ultimi anni il commercio sessuale è stato rinominato per dare l’impressione che non sia nocivo». Espressioni come «vendere amore» o «sesso transazionale» cominciano infatti ad essere usate sempre più spesso. «Una terminologia che maschera la realtà di ciò che questo è: una persona, quasi sempre maschio, che ha rapporti sessuali con un’altra persona, quasi sempre femmina, senza desiderio reciproco», aggiunge Bindel.

L’EFFETTO NEGATIVO DELLA DECRIMINALIZZAZIONE
Oggi, il dibattito sull’argomento, svolto all’interno del mondo accademico, dei media, delle associazioni per i diritti umani e di genere, ha raggiunto un punto critico: si parla di decriminalizzare l’intero mercato, e rimuovere tutte le leggi relative al tema, da una parte. Oppure di criminalizzare l’acquisto di sesso secondo il Modello nordico (o neo-abolizionista) creato nel 1999 dalla Svezia e poi adottato da Norvegia, Islanda, Irlanda del Nord, Irlanda e Francia, dall’altra. Quest’ultimo – nato dalla presa d’atto dell’insuccesso del modello di “regolamentazione” della prostituzione legale- intende bloccare la domanda dell’acquisto del sesso, considerato una forma di violenza: a venire perseguito è il cliente che adesca sex worker. Viceversa, la vittima di sfruttamento non viene perseguita. Nel libro viene riportato l’effetto negativo che ha invece prodotto l’approccio opposto in Paesi come Australia, Germania, Olanda, Austria, Nord America e Nuova Zelanda: «Non c’è prova di alcuna diminuzione della violenza, della diffusione dell’HIV o del numero di donne uccise nel mercato legale del sesso mentre ci sono prove che i diritti e la libertà promessi sono andati ai proprietari dei bordelli e ai compratori». A sostenere, però, questo tipo di orientamento ci sono anche l’Organizzazione mondiale della sanità, Human Right Watch e Amnesty International. «Ritieniamo che la ricerca, l’acquisto, la vendita e l’adescamento per il sesso a pagamento debbano essere atti al riparo dall’interferenza dello Stato fintantoché non sussistano minacce, coercizione o violenza associate a tali atti. Gli uomini e le donne che comprano sesso da adulti consenzienti esercitano la propria autonomia personale», si legge nel documento di Amnesty. Intervento che Bindel chiaramente non condivide: «Se l’ong rimane fedele ai suoi principi dovrebbe concentrarsi su coloro i cui diritti umani sono violati, nel caso della prostituzione le donne, invece di quelli, come gli acquirenti del sesso e i protettori, che credono che sia loro diritto umano non rispettare quelli degli altri».


 

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Intervista a Deborah Ardilli


(Radio Vanloon, 9 marzo 2019)


Femminismo, i suoi manifesti

La donna non va definita in rapporto all’uomo. Su questa coscienza si fondano tanto la nostra lotta quanto la nostra libertà (Manifesto di Rivolta femminile, 1970)

Nella settimana dell’8 marzo Radio Vanloon ha ripercorso i manifesti del femminismo radicale degli anni Settanta con Deborah Ardilli, traduttrice e studiosa dei movimenti. Con lei hanno visto alcune delle particolarità degli scritti del femminismo italiano e i suoi collegamenti con quello statunitense e francese.

Qui l’intervista.


 

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Julie Bindel: “La prostituzione cancro sociale”


di Francesco Rigatelli (La Stampa, 8 marzo)


– Amnesty International?

Il mondo del cinema? Amnesty International? I medici contro l’Aids? Favoriscono tutti lo sfruttamento della donna. Lo sostiene Julie Bindel, attivista inglese, collaboratrice del Guardian e fondatrice di Justice for woman, nel suo libro Il mito Pretty woman. Come la lobby dell’industria del sesso ci spaccia la prostituzione edito da Vanda con Morellini. Camicione bianco e fare da mastino, l’autrice, 56 anni, non teme la definizione di femminista radicale. Per lei semplicemente la prostituzione andrebbe proibita come il fumo. E chiunque la depenalizzi o semplicemente la accetti ne è complice.

Dopo due anni di ricerca e 250 interviste nel settore, Bindel sfata il mito della prostituta felice: «Non si tratta mai di una scelta della donna. È sempre un abuso pagato dal cliente. Infatti, parlare di lavoratrici del sesso è sbagliato, perché non è un lavoro e non è sesso. E anche definire i compratori di sesso come dei clienti è l’inizio di un abuso».

L’autrice, forte di viaggi in luoghi problematici per i diritti delle donne come l’India, la Cambogia, Dubai e la Turchia, ma anche negli Stati Uniti, in Germania, in Svizzera e nei Paesi Bassi, entra nel sistema: «Spesso il contratto è tra l’uomo e il pappone e anche quando l’accordo è diretto chi paga lo fa per il corpo della donna. Lui paga, ma lei non vuole veramente». Più che un libro sulle donne, il suo è uno studio sulla responsabilità degli uomini: «Invece di fare tante domande sul perché e il percome una finisca per prostituirsi, la vera questione è perché ci sia chi paghi per avere un rapporto non consensuale. Molti uomini sostengono di avere più diritto al sesso delle donne». Per Bindel dunque la prostituzione è essenzialmente «una questione di potere, perché molti uomini non desiderano nessuna interazione umana».

E anche la cosiddetta «girlfriend experience» del film Pretty Woman del 1990 di Garry Marshall con Richard Gere e Julia Roberts finisce per far passare «una schiavitù normalizzata». Così come Amnesty International, che è per la depenalizzazione del settore e non distingue lo sfruttamento in base al sesso «eppure è risaputo che la maggior parte dei compratori sono maschi e delle sfruttate sono femmine». Stesso discorso per «la lobby gay dei medici contro l’Aids, che include nella libertà sessuale pure la prostituzione». Altro rischio è la rete delle webcam, dove avviene secondo l’autrice «la connessione tra pornografia e prostituzione per i compratori di sesso virtuale».