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Danna e Norcia nei consigli della Casa delle Donne di Milano

La Casa delle Donne di Milano ha inserito due nostri titoli nella rubrica “Lo consiglio perchè“. Si tratta di “La piccola principe” di Daniela Danna e di “A proposito di Elena” di Giusi Norcia.

Ecco un breve estratto dell’articolo.

“Eccoci con due nuove proposte di libri, editi da VandA. Scavando tra i miti e i racconti più noti e riscrivendoli in chiave femminista compaiono molte prospettive nuove. Il saggio di Daniela Danna, LA PICCOLA PRINCIPE – Lettera alle giovanissime su pubertà e transizione (VandA epublishing, 2018) affronta con delicatezza e competenza temi complessi su sesso, genere, identità e modificazioni: tutti argomenti che oggi ci stanno molto a cuore e richiedono un lavoro aperto di comprensione. Giuseppina Norcia, nel testo misto di saggi e di invenzioni creative “A proposito di Elena” (Vanda, aprile 2020) esplora e fa rivivere la figura affascinante e ambivalente della magnifica donna (o dea?) “di Troia e di Sparta” e invita a comprendere le sue molte facce e a muoversi tra i suoi misteri cercando nuovi significati della bellezza e della libertà, oltre gli schemi patriarcali.”

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“A proposito di Elena” – recensione La Donna e il Mostro nel Mito

Sul blog La donna e il Mostro nel Mito è uscita una bellissima recensione di “A proposito di Elena” di Giuseppina Norcia.

Eccone un estratto.

“Giuseppina Norcia è una garanzia: la sua è una scrittura che viene da “lontano”, da una lontananza fatta di sapienza, saggezza, amore ed elezione. Giuseppina Norcia è una creatura armoniosa, tra le cui mani scivolano sete d’Oriente e lini d’Occidente, nella cui voce c’è la grazia di una poetessa e la potenza oracolare di una profetessa sicana.

Dopo il suo Achille, “compagno di Thanathos”, non mi sarei mai aspettata Elena e, invece, ecco che, sorprendentemente, arriva colei della quale nessuno ha saputo dire “com’era fatta”: del resto, “Nessuno lo sa, perché nessuno l’ha mai guardata: bisognava adorarla come una dea o possederla come una femmina” e gli uomini la amavano “fino ad esserne terrorizzati”.

Con un incipit di tal genere, non si può che immergersi “dentro” l’incantesimo di Elena, del suo odore, che “si respira” anche se lei non c’è.

Di Elena non si sa niente. Crediamo di conoscerla, non l’abbiamo mai guardata”: è questo il paradosso, Elena, infatti, è la bellezza e la sciagura, è doppia, è carnefice e vittima, è fiamma d’amore, oggetto d’odio.

Elena è una maledizione, per sé e per gli altri: “tutti coloro che hanno desiderato Elena, intorno a lei hanno costruito un’ossessione consumata nella violenza, individuale e collettiva. Nella rovina”. Elena è Lolita, ma è anche vittima sacrificata; Elena è un corpo da espugnare come fosse una citta e, allora, sostiene l’autrice, “il sesso diviene un’esposizione del potere e della guerra”.

E’ maestra di seduzione Elena, come Aspasia, “con lo sguardo da cagna”, ma è figlia di Zeus, forse; oggetto di una contesa divina, è la vittoria amara della bellezza, una bellezza “mai detta”, che solo apparentemente vince, perché “la bellezza è divenuta una prigione” e “mantiene sempre un carico di dannazione”.”

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Recensione “A proposito di Elena” – tsd.it

Su TSD.it è uscita una recensione di “A proposito di Elena” di Giuseppina Norcia.

Eccone un estratto:

“Prima di addentrarci nel libro che più che romanzo storico, definirei “saggio divulgativo sulla figura di Elena nella letteratura”, mi pare opportuna una breve inquadratura su tempi e luoghi.
La guerra di Troia è storicamente provata, è durata una decina d’anni e si è conclusa probabilmente attorno al 1250 a.C.. Gli scavi effettuati dall’archeologo Schliemann seguendo le descrizioni riportate nei testi omerici hanno evidenziato testimonianze riconducibili a un’antica città che si trovava in Asia Minore, all’entrata dello stretto dei Dardanelli, suddivisa in più strati appartenenti a epoche diverse, uno dei quali bruciato attorno al 1250 a.C.
Non è storicamente attendibile il fatto che la guerra sia stata scatenata dal rapimento di una donna, Elena.
Il motivo va ricercato in un contesto commerciale, in quanto la posizione sopra descritta apriva la via a transiti navali, scambi di merci e quindi buoni introiti economici.
Troia, o Ilio, appariva in tutto e per tutto una piazza da conquistare.
Sulla scia di questa antica guerra, le cui testimonianze potevano essere state tramandate per via orale, si è poi ricavata la leggenda.
E, la leggenda, racconta che Elena, bellissima regina di Sparta, sposa di Menelao, venne rapita per amore da Priamo e portata a Troia. E per riprendersi l’amata, il re spartano mosse l’esercito aprendo la via a una guerra che avrebbe visto la caduta di Troia e, in seguito, la nascita di due grandi poemi: l’Iliade e l’Odissea.”

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Quale bellezza salverà il mondo? Il mito di Elena

Su Camminosiracusa.it è uscito un bell’articolo firmato da Giuseppe Matarazzo su “A proposito di Elena” di Giusi Norcia.

Eccone un estratto:

“«Crediamo di conoscerla, Elena – scrive Norcia -, eppure per certi versi di lei non si sa niente, se non l’effetto sugli altri. Desiderata e temuta dagli uomini, disprezzata (e temuta) dalle donne. Non riabilita il femminile, non è un’eroina come Antigone o Ifigenia, donne del coraggio e del sacrificio. La sua Bellezza è “imperdonabile”. Così sembrerebbe». «Non c’è più tempo, è questo il Tempo. Voltati. Prima che si sbricioli la bellezza del mondo. Voltati, e per la prima volta guardami», grida Elena. Ieri, oggi. «Alcuni miti o personaggi possono rimanere quasi sopiti, per poi risvegliarsi, attivarsi quando risuonano con un dato tempo – riprende Norcia -. Credo, ad esempio, che in questo momento un personaggio come Elena sia interprete di temi urgenti, dall’uso dei corpi delle donne alle cause (o ai pretesti…) dei conflitti, dal rapporto tra verità e mistificazione al potere tremendo o salvifico che la bellezza ha sul cuore umano. “La bellezza, senza dubbio non fa le rivoluzioni. Ma viene il giorno in cui le rivoluzioni hanno bisogno di lei”. Quale bellezza, dunque, salverà il mondo?». Da Elena a Dostoevskij. La domanda è lì. Per la risposta «non c’è più tempo». È questo il tempo.”

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“Carne da macello” fra i consigli di lettura della Casa delle Donne di Milano

Carne da macello. La politica sessuale della carne” di Carol J. Adams è fra i consigli di lettura della Casa delle Donne di Milano.

La recensione, di cui lasciamo un estratto, è firmata da Franca Tombari.

“Scritto nel 1990, viene pubblicato ora in Italia per la prima volta, ma è ancora molto attuale perché esplora la relazione tra il patriarcato e il consumo di carne. Libro chiaro e potente, è un classico del movimento vegano e femminista, conosciuto in vari paesi.

I motivi per non consumare carne, o se si preferisce, i prodotti di origine animale, sono molti: ambientali (gli allevamenti intensivi sono una delle principali fonti di inquinamento da Co2 e quindi del cambiamento climatico),  salutisti (troppa carne fa male), etici (la soppressione di altri esseri viventi animali  non è ammissibile secondo gli antispecisti), ed infine culturali, per la stretta relazione tra il dominio patriarcale e l’ideologia del consumare carne. Adams si concentra su quest’ultimo fatto: evidenzia la stretta relazione tra la violenza sui corpi degli animali e quelli femminili, ugualmente trattati come pezzi di carne, e sottolinea come la carne stessa sia simbolo del patriarcato perché è l’alimento che, si dice, apporta forza muscolare.  Quindi è prediletta dai maschi e serve a costruire una certa idea di mascolinità, mentre, nella cultura in cui è la normalità la  sopraffazione e il dominio, il cibo vegetariano e/o vegano viene  associato ai gay, alle donne  e ai soggetti moralmente e fisicamente deboli. Perciò sono stati osteggiati e ridicolizzati coloro che   volevano   astenersi dal consumo di animali morti: proprio questo avviene quando si mangia carne, si mangiano animali uccisi spesso in modo cruento. La violenza viene allontanata e mascherata: l’animale reale, con la sua vita fisica, viene separato da ciò che viene  messo sulla nostra tavola e per nascondimento diventa semplicemente “carne” che si può consumare  ed anche  abusare. L’autrice conclude: “Il vegetarianismo può essere una parte integrante dell’identità femminile autonoma: è una ribellione contro la cultura dominante, indipendentemente dal fatto che si è dichiarata o meno una rivolta contro le strutture maschili. Resiste alla struttura del referente assente, che rende oggetti le donne e gli animali”.”

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Donne e animali: quattro chiacchiere con Barbara Balsamo su “Carne da macello” di Carol Adams – Vocisinistre

Su Vocisinistre è uscita un’intervista a Barbara Balsamo su “Carne da macello. La politica sessuale della carne” di Carol J. Adams.

Eccone un estratto:

“Abbiamo intervistato Barbara Balsamo, che insieme a Silvia Molè, Matteo Andreozzi e Annalisa Zabonati ha collaborato alla pubblicazione dell’edizione italiana di La politica sessuale della carne di Carol J. Adams, pubblicato da Vand.A.edizioni. Barbara Balsamo ha anche curato, e in parte tradotto, Liberazione totale del filosofo americano Steven Best, edito da Ortica Editrice.

Ricordiamo che “Carne da macello” sarà presentato a Roma Martedì 28 Luglio, dalle 18:30 alla Casa Internazionale delle donne.

VOCI SINISTRE: Come nasce l’idea di portare in Italia, a trent’anni dalla sua pubblicazione negli Usa, La politica sessuale della carne di Carol J. Adams?

BARBARA BALSAMO: L’impatto della pubblicazione del libro di Carol J. Adams, ormai 30 anni fa, è stato dirompente e grazie a questo studio i movimenti di lotta sociale, in particolare quello femminista, hanno subito una grande trasformazione rispetto al passato. Ha contribuito e sostenuto l’intersezionalità. In particolare, le istanze antispeciste che fino ad allora non avevano ancora trovato una collocazione tra le lotte sociali hanno iniziato a circolare in ambito femminista. In questi anni chi propone e teorizza l’antispecismo politico ha suggerito numerose prospettive e strategie di lotta. Certamente la prospettiva intersezionale è tra le più significative. The Sexual Politics of Meat è stato tradotto in moltissime lingue, anche in italiano grazie ad Annalisa Zabonati e Matteo Andreozzi e finalmente quest’anno pubblicato dalla casa Editrice Vand.A.edizioni.

VOCI SINISTRE: Nella postfazione curata da te e Silvia Molè c’è questa frase: “Immaginiamo cosa si potrebbe fare se ci si unisse tutti e tutte”. Il tema delle alleanze è molto dibattuto sia all’interno del femminismo che dell’antispecismo. Se, da una parte, la questione femminile e quella animale faticano a guadagnare il giusto riconoscimento da parte degli altri movimenti per la giustizia economica e sociale, dall’altra, gli stessi movimenti femminista e antispecista si trovano continuamente frammentati all’interno, con correnti più radicali ed altre che, spesso, strizzano l’occhio ai fondamenti ideologici che dovrebbero proporsi di combattere. Lo stesso mancato riconoscimento, ad esempio, della necessità di allargare lo sguardo alla schiavitù animale da parte di una buona fetta di femminismo ne è un esempio tangibile. Quali chiavi pratiche offre, secondo te, Adams affinché si riemerga da questa situazione di stallo?

BARBARA BALSAMO: La questione, come hai già esposto nella domanda, è complessa e purtroppo difficile da districare. Tuttavia, ogni cambiamento nei movimenti porta momenti di riflessione e resistenza, come quando sono state elaborate le istanze del femminismo postcoloniale africano. Anche in quel caso ci fu una certa resistenza, oggi, per fortuna, ampiamente superata. Ritengo che queste forme di diffidenza e chiusura siano (ahimé) fisiologiche. L’atteggiamento di chiusura e pregiudizio verso i Rom anche da parte di una certa sinistra radicale ne è un esempio. La questione animale, forse la più ostica da cogliere e accogliere, non è esente da queste dinamiche. Al contempo, la frustrazione derivante dal senso di impotenza che colpisce molti attivisti, soprattutto in ambito antispecista, induce all’identitarismo e quindi all’esclusione sia nelle riflessioni teoriche che nelle prassi degli altri movimenti di lotta. Il testo di Adams è stato un apripista in questo senso, argomentando e analizzando la prospettiva intersezionale tra oppressione della donna e oppressione animale. Ogni giorno assistiamo all’”animalizzazione” della donna. Il punto centrale del testo è il corpo. La reificazione del corpo, delle donne come degli altri animali, e la conseguente sua mercificazione sono un nodo cruciale nell’analisi della studiosa statunitense. Purtroppo, spesso le donne si sentono discriminate nel momento in cui si stabilisce il legame donna / animale come se questa connessione fosse di per sé già discriminatoria. Siamo al paradosso: pensare che sia discriminatorio assimilare la donna all’animale è proprio ciò che dimostra la Adams in Carne da macello. Lo specismo radicato strutturalmente nel pensiero sociale non solo impedisce di cogliere i nessi causali tra specismo e oppressione della donna ma ostacola la riflessione su queste dinamiche di potere interconnesse. In sintesi, le donne rifiutano di essere associate agli altri animali (come spesso si rifiuta l’associazione schiavitù animale/schiavitù umana) poiché considerati per antonomasia inferiori! Un cortocircuito del pensiero che la Adams ha tentato di interrompere, a mio avviso con un discreto ma lento successo. Il corpo è il luogo fisico e simbolico sul e nel quale si manifestano mercificazione e guerre ideologiche. Ed è anche il campo dell’intersezione. Questo processo di gerarchizzazione e de-formazione dei corpi è lo stesso che applichiamo agli altri animali. Proprio dall’oppressione degli altri animali – corpi completamente “altro da quelli umani” – deriva infatti il concetto stesso di smembramento dei corpi. L’analisi della Adams parte da qui e arriva alla teorizzazione del referente assente che è il cardine generativo delle gerarchie e delle oppressioni della donna e degli altri animali. Per poter comprendere a fondo il fenomeno delle oppressioni e la questione intersezionale delle lotte bisogna però chiarire un aspetto imprescindibile: il capitalismo. La genesi strutturale delle società di dominio culmina con il capitalismo moderno. Il fil rouge che passa dalla questione animale gettando un’abbagliante, pionieristica luce sulla prospettiva intersezionale delle oppressioni deve necessariamente partire dalla lotta al capitale che genera e struttura i rapporti di forza e di dominio.”

Per leggere l’intera intervista clicca qui.

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Viaggio a Siracusa con Giuseppina Norcia

Su Elle.com è uscito un articolo firmato da Gabriella Grasso con un profile dell’autrice Giusi Norcia e su “Siracusa. Dizionario sentimentale di una città“.

Eccone un estratto.

“Grecista e scrittrice, collaboratrice di lunga data dell’Istituto Nazionale del Dramma Antico di Siracusa, Giuseppina Norcia è molto legata alla sua città, cui ha dedicato il primo libro che ha scritto: Siracusa. Dizionario sentimentale di una città (uscito per VandA nel 2014). Appassionata e studiosa di storia antica e miti, nel 2017 ha pubblicato il romanzo per ragazzi Archimede. Una vita geniale (VerbaVolant); nel 2018 è uscita con L’ultima notte di Achille (Castelvecchi); da qualche mese è in libreria con A proposito di Elena (VandA), nel quale la storia della donna diventata simbolo assoluto di bellezza viene riletta e analizzata da nuovi (e moderni) punti di vista, lontanissimi dagli stereotipi.

Qui Giuseppina ci rivela la “sua” Siracusa. Tre luoghi iconici visti e raccontati da Giuseppina: attraverso una riflessione, un ricordo, una storia…

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La bellezza tra salvezza e perdizione. “A proposito di Elena” di Giuseppina Norcia

Su Sulromanzo.it è uscita una bella recensione di “A Proposito di Elena” di Giusi Norcia firmata da Eva Luna Mascolino.

Eccone qui uno stralcio:

A proposito di Elena di Giuseppina Norcia, uscito per VandA edizioni in versione digitale nel mese di maggio e in edizione cartacea lo scorso giugno, è una pubblicazione che fin dal titolo fa riferimento alla sua struttura e al contenuto, pur mantenendo viva la curiosità di chi si appresta a leggere una trattazione ragionata su una delle figure mitologiche più celebri e decantate dell’antica Grecia. Proprio per questo, da una parte, il focus su Elena di Sparta sembrerebbe avere fin troppi precedenti autorevoli per suscitare interesse, anche se dall’altra parte la scansione scelta dell’autrice ne chiarisce l’originalità e gli approfondimenti svolti a monte.

Il testo, infatti, si configura come uno studio ragionato sulla natura archetipica e allo stesso tempo inevitabilmente umana della giovane figlia di Tindaro, che si sviluppa per lo più in ottica tematica, oltre che temporale, nel tentativo di scorporare le voci circolate su questo personaggio, le sue caratteristiche, le diverse versioni del suo mito e le parole che pronuncia secondo l’uno o l’altro autore classico. È per tale ragione che Giuseppina Norcia esordisce evidenziando innanzitutto il più grande paradosso legato alla sua storia, ovvero l’assenza di una qualsiasi descrizione fisica di Elena nonostante la fama di donna più bella del mondo, per poi concentrarsi sull’effetto che tanto fascino ha esercitato sulle persone intorno a lei e sul suo stesso destino individuale.”

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A proposito di Elena – recensione Rivista Blam

Su Rivista Blam è uscita una bella recensione di “A proposito di Elena” di Giusi Norcia.

Eccone un estratto.

“A inizio giugno è uscito nelle librerie il nuovo lavoro di Giuseppina Norcia, pubblicato da Vanda edizioni, casa editrice indipendente che si definisce “dalla parte del femminismo” e si occupa di dar voce alle donne e al dibattito sul femminile. Per questo nel suo catalogo trova spazio anche un saggio bello quanto complesso come A proposito di Elena.

Elena di Sparta, emblema della bellezza: figura enigmatica ma contemporanea

“I miti non hanno vita per sé stessi, attendono che noi li incarniamo”, solo allora ci offriranno intatta la loro linfa.

Le vicende di Elena di Sparta, emblema della bellezza assoluta per la cultura occidentale, ci sembrano note. Crediamo di conoscerle dai banchi di scuola, dove abbiamo studiato l’assedio decennale di Troia da parte degli Achei, generato dal desiderio di possedere Elena. Moglie del re Menelao, rapita per amore (o per l’inganno di Afrodite) dal principe troiano Paride, Elena appare sin da subito il pretesto dello scontro tra i due schieramenti, la merce di scambio per la pace, il trofeo di guerra.

Ma cosa realmente sappiamo su Elena? Nessuno la descrive, nessuno ne considera la volontà o le inclinazioni, i pensieri e i sentimenti. Elena è un enigma, è espressione del desiderio ma anche dell’inganno. Gli uomini la desiderano, ma non l’hanno mai realmente osservata; le donne la odiano e la temono assoggettate dall’invidia e dal continuo confronto.

Elena non è dunque ancora oggi un simbolo potentissimo della mercificazione del corpo femminile? Della bellezza da possedere a tutti i costi ma che diventa schiavitù, prigione?”

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Afro-ismo – recensione Filosofemme

Su Filosofemme è uscita una bella recensione del nostro libro “Afro-ismo. Cultura pop, femminismo e veganismo nero” di Aph e Syl Ko, firmata da Roberta Landre.

Eccone un estratto.

Aphro-ism: Essays on Pop Culture, Feminism, and Black Veganism from Two Sisters (2017), tradotto in italiano da feminoska e edito da VandA edizioni – Afro-ismo Cultura pop, femminismo e veganismo nero (2020) – è il tentativo ben riuscito di rendere in libro l’esperienza che Aph e Syl Ko hanno sperimentato scrivendo sul loro blog aperto nel 2015 sotto il nome di Aphro-ism, tra insicurezze e bisogni.

Loro stesse ci indicano le loro intenzioni: “Dedichiamo questo libro a chi s’impegna a creare una nuova architettura concettuale per il futuro. Speriamo che sia uno dei mattoni per la sua fondazione.”

Quindi un testo che si propone di sfidare le nostre categorie concettuali, la nostra visione del mondo, attraverso lo spirito critico, al fine di creare una nuova base teorica che sostenga delle pratiche inedite di vita. Ed è proprio questo iato di possibilità quello che le sorelle Ko vogliono aprire; riappropriarsi della capacità immaginativa per scardinare le dicotomie su cui l’attuale sistema sociale si regge.


Il Veganismo Nero è il mezzo con cui intendono combattere: è sia una forma di resistenza politica, che uno strumento metodologico entro il quale inquadrare le oppressioni sistemiche prodotte e sostenute dal pensiero coloniale.


La loro analisi prende le mosse dal pensiero antirazzista, che nel suo intrecciarsi con l’antispecismo – attraverso i movimenti di liberazione nera e animale – origina una riflessione circa la comune dipendenza delle nozioni di “umanità” e di “specie”. Nella prospettiva del veganismo nero questi -ismi (antirazzismo e antispecismo insieme a tutti gli altri) sono necessariamente conciliabili.”

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“A proposito di Elena” – recensione e intervista a Giusi Norcia

Su Letteratitudine è uscito il pezzo di Daniela Sessa su “A proposito di Elena” con una bella recensione e un’intervista a Giusi Norcia.

Eccone uno stralcio:

“Già chiamarla Elena di Sparta o Elena di Troia apre immensi e fecondi scenari. Ma apriamone un altro: se Elena fosse un calligramma, una bella poesia disegnata da Teocrito fino ad Apollinaire. Immaginiamo le parole di Elena intorno al ventre del cavallo di Troia pieno di greci (amici o nemici?) o le parole per Elena dette da Gorgia o inflitte dall’euripidea Ecuba: cosa diventerebbero sulla pagina? Un uovo e un punto interrogativo.

Perché Elena e il suo mistero stanno in quell’origine divina così poetica e violenta assieme. Figlia di Nemesi o di Leda, Elena è quell’uovo appeso al soffitto della reggia di Sparta il cui fato coincide con il rapimento. Ogni attributo di Elena rimanda all’enigma, al bifrontismo, alla fuggevolezza, alla parvenza. Paride la porta a Troia “fittamente velata” come scrive Christa Wolf eppure tutti ne vedono la stravolgente bellezza, luminosa e seducente. Pure il rapimento ha la sua doppia semantica: Elena rapisce e viene rapita.

Soprattutto su questo ruota l’ultimo libro di Giuseppina Norcia “A proposito di Elena” che racconta, con quell’incanto verbale che è proprio della scrittrice, la storia di Elena, il suo destino di rapita attraverso i secoli. Un personaggio aereo appare l’Elena di Norcia, metamorfico nell’attraversare il tempo degli uomini con la stessa sfingea consistenza di Orlando di Virginia Woolf. Solo che qui si gioca su una sorta di eterno femminino che rimanda al corpo della Bellezza, un corpo voluttuario e cavo su cui, nella visione di Norcia, si gioca ogni guerra.  “Lei, la multiforme, la mutaforme, sa bene di essere molte cose, vittima e maestra di contemplazione, oggetto del desiderio e tessitrice visionaria chiamata a rappresentare la sua stessa storia. A rappresentare la storia del mondo”.

Norcia ricostruisce la storia della preda mitologica da una Elena zero a un’Elena 2.0 : un viaggio tra il mito e la contemporaneità intrecciando Saffo e Nabokov, Virginia Woolf e Omero, Albert Camus ed Euripide, Simone Weil e Zeusi.  Scrive Norcia in uno dei passi più interessanti del libro che per il pittore ateniese ci vollero “Cinque donne per fare un’Elena”. Lo stesso può dirsi di Giuseppina Norcia che per fare la sua Elena fa i ritratti in parole di Briseide, Aspasia, Ifigenia, Kore e… Alcibiade, il giovane e camaleontico stratega innamorato di Socrate, per cui Norcia, sulla scia di Plutarco si chiede “Che donna è Alcibiade?”.

È un tessuto “A proposito di Elena”, forse lo stesso che Elena ricamava nelle stanze infide di Troia: un libro fatto di rimandi e di incursioni sul presente che consentono a Norcia di gettare sul tavolo del mito alcune domande universali: sulla guerra, sulla marginalità delle donne, sulla violenza della guerra contro il corpo delle donne, sulla distruzione della Bellezza e sulla sua incessante ricerca. Il congedo lirico con l’immagine dell’albero di Elena, il platano del bosco fuori Sparta dove si celebravano le feste Helenie fa da controcanto a un secondo congedo, quello dell’esilio di Elena di Camus: si tradisce il bosco nell’epoca delle grandi città.

È un libro prezioso “A proposito di Elena” perché ha l’aspetto di Elena stessa: Norcia dissemina il libro di domande come a ribadire il segno ortografico che Elena incarna nel suo destino di drammatica Bellezza. Perché è esso stesso proteiforme: il racconto pare spezzare (o è il contrario?) una bozza di teatro. Ci sono un prologo e un dialogo dove Norcia si sdoppia nella voce narrante perché doppia (amore e terrore, dono e malattia) è l’idea di Elena, quattro monologhi e un epilogo affidati al personaggio Elena “Simulacri, accuse inconsistenti si contendono la vostra mente: non è bellezza ciò che crea infelicità; o se lo è, è una bellezza tradita, vilipesa, capovolta.”. La voce dell’Elena di Norcia è vellutata, evocativa, soffusa, blu. O forse è la voce di Norcia stessa, della sua scrittura limpida e con il ritmo di un esametro.”

Potete leggere l’intero articolo cliccando qui.

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Afro-ismo – recensione su Ghinea

Sull’edizione di giugno di Ghinea è uscita una bella recensione di “Afro-ismo. Cultura pop, femminismo e veganismo nero” firmata da Marco Reggio.

Eccone uno stralcio.

“Il pensiero antispecista vive nel nostro paese un certo fermento negli ultimi anni. Le parole d’ordine del “primo” antispecismo di matrice anglosassone (ma anche – occorre ricordarlo – bianca, maschile, cisgenere e accademica) si accompagnano a riflessioni che muovono da prospettive più ampie e, soprattutto, che dialogano serratamente con altri ambiti di lotta e di elaborazione teorica. Le prospettive foucaultiane in relazione all’ agency animale , la teoria critica seguente alla “svolta” suggerita da Derrida in relazione alla questione animale; gli intrecci con le teorie queer, esplorati interpellando sia la teoria della performatività di Judith Butler sia il versante anti-sociale del queer ), ma anche con altre “correnti” del femminismo, come l’ecofemminismo , l’opera di Carol J. Adams (da poco tradotta ) e l’etica del care. Senza contare il gran lavoro di traduzione, che spesso è sottorappresentato (forse anche perché è prevalentemente femminile), sui blog o a livello editoriale, che si è rivelato preziosissimo per far conoscere ai lettori/trici italian*, soprattutto militanti, alcune voci e alcuni momenti salienti dei dibattiti esteri (si veda il sito del collettivo Les Bitches ). In questo scenario, un ritardo certamente significativo è quello relativo alla messa a tema dell’intreccio tra questioni razziali e questione animale. Sebbene gli elementi non manchino, e sebbene una certa diffusione del metodo intersezionale abbia preparato il terreno per aprire una discussione su tale ambito, è stata fino ad oggi pressoché clamorosa la mancanza delle voci non bianche sulle teorie e le prassi antispeciste/animaliste. Inizia a colmare questo vuoto la traduzione di Aphro-ism. Essays on Pop Culture, Feminism, and Black Veganism from Two Sisters , di Aph e Syl Ko ( Afro-ismo. Cultura pop, femminismo e veganismo nero , Vanda Edizioni, traduzione di feminoska, 2020), in uscita in questi giorni.

Le autrici, due sorelle afroamericane, hanno dato alla luce un libro per certi versi atipico, costruito a partire dall’omonimo blog, articolando una serie di riflessioni in forma non lineare, non accademica, militante nello spirito e nel linguaggio, ma al tempo stesso ben radicata nelle fondamenta delle riflessioni teoriche del campo dei Critical Animal Studies .
La prospettiva delle sorelle Ko è quella di chi si trova, in prima persona, a dover denunciare il biancocentrismo dell’animalismo mainstream, evidenziando gli aspetti escludenti di alcune parole d’ordine apparentemente neutrali dal punto di vista razziale (una su tutte: veganismo ), e il retaggio coloniale di molte pratiche di solidarietà interspecie. Al tempo stesso, però, si tratta di una postura che rivendica la piena considerazione dell’animalità nelle pratiche di decolonizzazione. Come sintetizza Breeze Harper nella prefazione all’edizione originale, “Afro-ismo mette in discussione la narrazione popolare secondo cui antispecismo, liberazione nera e antirazzismo siano incompatibili e causa di divisioni”. Tale prospettiva si radica nel rifiuto della favola del “post-razziale” e trova nel movimento Black Lives Matter un costante riferimento concreto, talvolta anche critico, per scardinare il mito del sapere oggettivo bianco in grado di elaborare una teoria a tutto tondo dello sfruttamento animale in cui sarebbe la buona coscienza dei privilegiati a traghettarci nell’eden vegano. Come emerge dalla pubblicistica che ruota intorno allo slogan go vegan , la liberazione dovrebbe materializzarsi come somma di atti di volontà individuale, generati da un’empatia indifferente agli assi della razza, del genere o della classe e, in definitiva, del tutto disincarnata.

In questo scenario, quella delle sorelle Ko è, sempre prendendo a prestito una fortunata espressione di Breeze Harper, “un’avventura di giustizia epistemica”. Non è solo la determinazione del soggetto nero escluso dal discorso animalista bianco a demolire il trasversalismo politico di chi, anche in Italia, afferma incessantemente che tutti “gli altri discorsi” non fanno altro che sottrarre energie alla liberazione animale; è anche la storia della razza e dell’animalità che, riscritta da un soggetto nero con gli strumenti decoloniali, mostra come sia semplicemente impossibile parlare di due elementi distinti. Le autrici illustrano infatti come razzializzazione e animalizzazione siano legate in modo molto più stretto di quanto lascino pensare gli stessi argomenti che da qualche anno iniziano a circolare in alcune nicchie antispeciste.”

Trovate l’intera recensione nell’edizione di giugno di Ghinea.

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Recensione di “Carne da macello” – Leggere Donna

Su Leggere Donna è uscita una bella recensione di “Carne da macello. La politica sessuale della carne” di Carol J. Adams.

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Intervista a Katia M. – Satisfiction

Su Satisfiction.eu è uscita una bella intervista a Katia M., autrice di “Fai la brava. Se il mostro delle favole è mio padre“, a cura di Silvia Castellani.

Ve ne riportiamo l’introduzione.

Fai la brava. Se il mostro delle favole è mio padre (VandA edizioni)di Katia M. racconta una storia vera di violenze perpetrate da un padre sulla figlia per quattordici lunghi anni, ma soprattutto racconta del riscatto di una donna che è riuscita con incredibile coraggio a rompere il muro di silenzio che ha circondato la sua infanzia negata. Gli abusi sessuali sono iniziati quando Katia aveva quattro anni e proseguiti in un crescendo di perversione fino a quando, raggiunta l’adolescenza, è venuto a galla in seguito alla denuncia della stessa vittima, tutto lo squallore di una vicenda assurda accaduta in un piccolo paese ligure come assurde soltanto possono essere tutte le storie che riguardano la violenza sui minori. Moltissime delle quali rimangono purtroppo sommerse. Si tratta di storie scioccanti che troppo spesso non trovano voce. Questa di Katia dopo essere finita al centro di una vicenda giudiziaria complessa che ha portato alla condanna del padre-bruto, è una di quelle che fortunatamente grazie all’eroismo della persona offesa si è potuta conoscere e costituisce oggi un esempio di come se ne possa uscire, portando un messaggio di speranza alle vittime che per paura o vergogna non hanno trovato ancora la forza di raccontare.

Katia, che ha deciso di pubblicare il suo libro tacendo il proprio cognome per tutelare la figlia, non risparmia nessun particolare della vicenda che l’ha vista protagonista ma ce ne parla con una dignità rara e vitale che trasforma il male in bene con parole necessarie: Usare il male che mi è stato fatto per diventare una persona migliore anziché consumarmi nell’odio o nell’autodistruzione è stata la mia regola, la mia filosofia. Se dal male nasce altro male non si arriva da nessuna parte; ma se dal male nasce anche solo una briciola di bene questo sarà duro come l’acciaio, perché temprato dalle difficoltà e dalla sofferenza, e bisogna usarlo per generare altro bene.

Storie come quelle di Katia si verificano sempre e ovunque, e sarebbe bello pensare ci possa essere anche sempre qualcuno che si accorga che “c’è qualcosa che non va”, qualcuno in grado di vedere un po’ più in là e possa così denunciare, rompendo il circolo vizioso che vede le vittime isolate da tutto e tutti. Servirebbe forse una coscienza collettiva più sviluppata, una responsabilità ancora maggiore e solida e la voglia di urlare, non solo da parte della vittima. Ciò che fa più paura di queste storie, come si apprende dal libro edito da VandA edizioni, è il silenzio che le circonda, come una cortina di nebbia attraverso cui è difficilissimo vedere. Vicki Satlow, agente letterario ed editore, con la sua casa editrice ha avuto a sua volta il coraggio di dare voce a questo memoir perché è necessario che queste storie trovino posto nel mondo editoriale potendo essere lette da chi può trovare in esse un motivo in più di forza per reagire. Chi è vittima di violenza deve combattere molti mostri prima di arrivare ad ottenere giustizia sconfiggendo il proprio carnefice: la confusione, la vergogna e il senso di colpa che porta a mentire a se stessi, ma soprattutto la solitudine. Come se non bastasse deve fare i conti – se trova il coraggio di denunciare e venire allo scoperto – con la reazione di certa “gente” che per ignoranza non è in grado di capire che la vittima è soltanto tale e la vergogna deve appartenere esclusivamente agli aguzzini. 

Il paese si divise a metà, chi diceva che non dovevo parlare, che avevo svergognato la mia famiglia inutilmente, che visto che ormai aveva smesso potevo stare zitta; chi invece mi difendeva e diceva che avevo fatto bene a reagire e a denunciarlo. Chi vive in paesi piuttosto piccoli può immaginare quanto si parlò della vicenda. Io non volevo nemmeno uscire di casa, mi stavo chiudendo a riccio, nel mio dolore e col fastidio che chiunque incontrassi ormai sapeva di me.

Non si può mai tacere la violenza se si vuole ricominciare, come ha fatto Katia, a vivere per davvero e il coraggio di denunciare con tutto quello che di molto arduo può conseguire – quel coraggio che sempre troppe poche vittime riescono a trovare – è una lezione importante che tutti abbiamo il dovere di imparare.”

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A proposito di Elena – Le origini della femminilità distorta

Su La Ventisettesima Ora è uscito un nuovo articolo di Caterina Capparello su “A proposito di Elena” di Giusi Norcia.

Eccone un estratto:

Ogni due secondi, da qualche parte nel mondo, una donna è costretta a sposarsi. E molto spesso dopo un rapimento. Secondo le stime del World Health Organization, sono circa 22 milioni le ragazze che hanno contratto un matrimonio in giovane età. Giovani donne rapite per essere costrette a sposarsi, obbligate a lasciare dietro di sé la propria famiglia, i propri sogni e il proprio futuro. Considerate oggetti privi di qualunque volontà e diritto, queste donne si ritrovano sole, faccia a faccia con uomini che non vogliono affatto la loro felicità: impediscono di avere un’istruzione completa e le costringono a subire violenze. Un fenomeno, quello dei matrimoni forzati, molto diffuso in Rwanda, Etiopia, Nigeria, Kenya, Kirghizistan, India e Cina. Mette letteralmente i brividi l’Ala Kachuu del Kirghizistan (letteralmente “prendi e scappa” nella lingua locale), dove le ragazze vengono rapite allo scopo di diventare spose dei propri rapitori.
Una pratica che, nonostante sia illegale solo dal 2013 (punibile con una pena fino a 10 anni di prigione), ancora continua indisturbata. Secondo le Nazioni Unite, infatti, sarebbero quasi 12.000 le kirghise che ogni anno vengono rapite e costrette a sposarsi. E sono poche le donne che si rifiutano, pena lo stupro o la morte anche per suicidio, circa l’84%, finisce quindi per accettare il proprio destino.

Rapimento e matrimonio hanno un’origine molto lontana, ingiustificabile, ma proveniente da un antico passato. Rapire una donna e farla sua per colpire la società nel profondo, soprattutto in guerra. Ma nell’antichità anche la bellezza di una donna era un’arma a doppio taglio. Rapire la donna più bella significava togliere il bello di una città, togliere ad un uomo il suo trofeo, privarlo della dignità. Chi non conosce la storia di Elena, sposa di Menelao e causa della famosa guerra di Troia. Una ragazza che, per la sua bellezza o per il semplice fatto di essere una donna, aveva già subito due rapimenti. Teseo il primo, Paride il secondo. In entrambi i casi fu riportata a casa, ma a quale prezzo?”

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Giusi Norcia con “A proposito di Elena” rianima il dramma antico

Su Avvenire, il giornalista Giuseppe Matarazzo ha inserito un bel riferimento a “A proposito di Elena“, il nuovo libro di Giuseppina Norcia, in un articolo dedicato interamente alle “voci sole” del dramma antico.

L’articolo di Giuseppe Matarazzo su Avvenire

Eccone uno stralcio:

“Come la scrittrice e grecista, Giuseppina Norcia, insegnante di Drammaturgia antica nella stessa Accademia dell’Inda. «Mythos significa racconto – esordisce Norcia –. Per esistere un mito ha bisogno di essere narrato, oggi come allora, altrimenti si spegne, si fossilizza. La sua capacità di essere mappa dell’anima tesse e insieme rinnova il legame tra le nostre origini e la contemporaneità; ci appartiene non in quanto attuale ma perché universale, in un respiro più ampio che unisce le tre dimensioni del Tempo,
passato presente e futuro. Chi racconta un mito “entra nella storia”, fa vibrare il suono delle proprie domande, pone le urgenze del suo tempo». Elena è il mito che lo scorso anno ha incantato il pubblico di Siracusa, interpretata da Laura Marinoni per la regia di Davide Livermore. Ci siamo lasciati lì. Dove Elena aleggia ancora. E proprio alla regina di Sparta Giuseppina Norcia ha dedicato il suo ultimo libro, “A proposito di Elena
(VandA edizioni, pagine 120, euro 14,00) dove mescola meravigliosamente
i generi, unendo il saggio, la narrazione, il teatro. Dal mito di ieri alla “Elena 2.0” di oggi. «Alcuni miti o personaggi possono rimanere quasi sopiti, per poi risvegliarsi, attivarsi quando risuonano con un dato tempo. Credo che in questo momento un personaggio come Elena sia interprete di temi urgenti, dall’uso dei corpi delle donne alle cause (o ai pretesti…) dei conflitti, dal rapporto tra verità e mistificazione al potere tremendo o salvifico che la bellezza ha sul cuore umano. Quale bellezza, dunque, salverà il mondo?». Questione senza tempo. Di drammi che aspettano di tornare in scena.”

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“A proposito di Elena” – intervista a Giusi Norcia su letture.org

Su letture.org è uscita una bella intervista a Giusi Norcia per la pubblicazione del suo nuovo libro “A proposito di Elena“.

Eccone uno stralcio:

Dott.ssa Giuseppina Norcia, Lei è autrice del libro A proposito di Elena edito da VandA: cosa sappiamo di Elena di Sparta?
Il Mito greco è per me, da sempre, fonte di ispirazione e materia viva, da narrare e plasmare, per la sua capacità di essere mappa dell’anima e nel contempo – come diceva Kerényi – un tessuto senza orli, che non ha mai fine. I grandi personaggi del mito – pensiamo a Odisseo e Penelope, Agamennone ed Ettore, Achille, Elena… – popolano la nostra immaginazione attraverso i racconti dell’infanzia, le letture scolastiche, la cinematografia, oltre che, naturalmente, le letture personali o gli studi specialistici. Il loro essere patrimonio comune e condiviso nasconde tuttavia un’insidia, alimenta l’illusione di conoscerli, schiacciandoli così nel cliché che li semplifica: l’astuzia e la fedele attesa, il potere e la lealtà, la forza, la bellezza… Credo che accostarsi a loro per narrarne ancora la storia richieda uno sguardo rinnovato, la capacità di ascoltarli come se fosse la prima volta: allora, se poniamo altre domande, il Mito risponderà diversamente rigenerandosi con noi. Cosa sappiamo di Elena? – è stata proprio la prima domanda che mi sono posta, a proposito della regina di Sparta. Sul suo conto si dicono molte cose, storie che si intrecciano e a tratti si contraddicono. Sappiamo che è figlia di Tindaro e Leda, sovrani di Sparta, ma che in realtà è di stirpe divina, generata da Zeus che si unisce in forma di cigno alla bellissima madre. Secondo un’altra versione della storia, Elena sarebbe figlia di Nemesi, divinità legata all’equilibrio del mondo e alla giustizia redistributrice. Così, lungo il sentiero del mito, necessità e bellezza si congiungono. Lei è la sposa di Menelao e l’amata di Paride con cui fugge a Troia, eppure altrove narrarono di una nuvola d’aria, di un eidolon mandato nella rocca di Ilio a seminare morte e inganni, mentre la vera Elena sarebbe stata condotta in Egitto. Due uomini, due città, due Elene complicano la storia specchiandosi gli uni nelle altre. Così, il pensiero dominante in principio era che di Elena non si sapesse niente. Il grande paradosso di Elena, la bella per antonomasia, è che il suo aspetto non sia mai descritto: «Non sappiamo se i suoi capelli siano lisci come la seta o indomabili e crespi, del colore del grano o scuri come la notte. Ditemi, ha qualcosa che la rende unica, qualche amabile imperfezione? Un neo sul labbro, una lieve fessura tra i denti? Come cammina Elena? Ama muovere le mani al ritmo delle sue parole? Nessuno lo sa. Di Elena non si sa niente» “

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Prostituzione: un lavoro come un altro?

Su Volerelaluna è uscito un articolo di Valentina Pazé a proposito della problematica legata alla denuncia di abbandono dei e delle sex worker durante l’emergenza sanitaria e il lockdown del Paese, che presenta bene la posizione di Luciana Tavernini, Silvia Niccolai, Daniela Danna e Grazia Villa, autrici di Né sesso né lavoro.

Eccone un estratto:

“Tra i settori economici che sono stati certamente penalizzati dal lockdown c’è anche il mercato del sesso. Lo ricorda, su il manifesto del 12 maggio, Shendi Veli (https://ilmanifesto.it/lemergenza-umanitaria-del-lavoro-sessuale/) , denunciando l’abbandono in cui sono stati lasciati i e le sex worker (di cui parlerò d’ora in poi al femminile, data la netta prevalenza delle donne nel settore) durante la pandemia. E riproponendo le classiche rivendicazioni dei movimenti per la “decriminalizzazione”: dal riconoscimento della prostituzione come attività lavorativa in piena regola alla legalizzazione delle attività collaterali, come il favoreggiamento, che nel nostro paese è un reato che viene talvolta contestato anche a chi affitta la casa a una prostituta o abita con lei (secondo un’interpretazione peraltro scorretta della legge Merlin, criticata da Silvia Niccolai in AA.VV., Né sesso né lavoro. Politiche sulla prostituzione, Milano 2019, pp70-117).

Intervenendo su 27esima ora del 22 maggio (https://27esimaora.corriere.it/20_maggio_22/prostituzione-lavoro-o-sfruttamento-b8170e3c-9bd6-11ea-aab2-c1d41bfb67c5.shtml), Luciana Tavernini mostra l’altra faccia della medaglia: «Chiamare la prostituzione lavoro è un modo per convincere che tutto, perfino l’accesso all’interno del nostro corpo, può e deve essere venduto e al massimo possiamo lottare per alzare il prezzo. È un vecchio trucco cancellare lo sfruttamento col nome di lavoro». E dunque, anziché chiedere di legalizzare le attività di coloro che guadagnano dalla prostituzione altrui, bisognerebbe attuare quella parte della legge Merlin che prevede formazione e inserimento lavorativo per le donne che desiderano cambiare vita. Uscendo da un “giro” in cui la stragrande maggioranza di loro è finita per bisogno, e talvolta per vera e propria costrizione (le straniere vittime della tratta), non certo per scelta.

Il contrasto tra queste due posizioni sembra irriducibile e riguarda la stessa scelta delle parole: prostituzione o sex work? “Stupro a pagamento” (come è intitolato il bel volume autobiografico di Rachel Moran) o «un lavoro come un altro», di cui si tratterebbe di garantire l’esercizio in condizioni di legalità e sicurezza? Il tema è di quelli che dividono, anche a sinistra, anche all’interno del femminismo e delle associazioni per la difesa dei diritti umani. E probabilmente non potrebbe essere altrimenti, data la molteplicità delle questioni in gioco: dalla visione del corpo, della sessualità, delle relazioni tra i sessi alle nostre idee sulla libertà, i diritti, il rapporto tra Stato e mercato.”

Per leggere tutto l’articolo clicca qui.

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Lettera alla redazione. Contro il sex work non contro le sex workers – il manifesto

Il dibattito . Riceviamo e pubblichiamo un ulteriore contributo sulla questione del sex work. La discussione è emersa in seguito a un reportage pubblicato su il manifesto “L’emergenza umanitaria del lavoro sessuale”

Cara Redazione,

invece di dare l’adeguato spazio alle esperienze, relazioni, riflessioni del movimento neo abolizionista purtroppo in alcuni articoli da voi pubblicati se ne travisano le posizioni.

Soprattutto io e altre donne ma anche degli uomini che fanno parte del movimento neo abolizionista siamo contro la prostituzione, non contro chi viene prostituita. Abbiamo relazioni e sosteniamo il movimento delle sopravvissute alla prostituzione, come ad esempio Rachel Moran e SPACE INTERNATIONAL.

Conosciamo direttamente donne di origine straniera che sono state portate in Italia con la tratta e sappiamo i problemi per liberarsene e la gioia quando vi riescono. Conosciamo le donne che si rivolgono ai centri antiviolenza e anche di questo parlano.

Riteniamo la legge Merlin un grande passo di civiltà e la difendiamo contro le cattive interpretazioni, come argomenta la costituzionalista Silvia Niccolai in Né sesso né lavoro, Politiche sulla prostituzione (VandA, 2019). Lottiamo contro le sue revisioni che, fingendosi libertarie, rendono libero lo sfruttamento della prostituzione altrui, come risulta dall’attento esame dell’avvocata Grazia Villa nello stesso libro

Siamo contro il sex work.

Per sesso io ho sempre inteso poter scegliere il partner con cui stare e come farlo per avere un piacere reciproco, altrimenti è stupro a pagamento, titolo del libro di Rachel Moran (Round Robin, 2017). Mi sembrava che fosse una posizione condivisa nella sinistra e con i movimenti omosessuali e trans.

Non si rende dignitoso lo sfruttamento chiamandolo lavoro. È un vecchio trucco. Anche gli schiavisti dicevano che sarebbe bastato chiamare gli schiavi assistenti di piantagione per far cessare le lotte abolizioniste. Ma allora il movimento operaio inglese e le femministe non ci sono cascati. Ho lottato e lotto per un’idea di lavoro dove si pongano dei limiti al mercato, ad esempio che l’interno del mio corpo non sia vendibile. E che nessuna sia costretta a farlo per potersi mantenere. Uso il femminile perché non mi piace nascondere che la stragrande maggioranza è donna.

I modi e il senso del mio essere donna è una ricerca libera e quotidiana, rafforzata da donne e uomini che scelgo e stimo. Non mi hanno mai aiutato i vari apprezzamenti di un maschio qualsiasi su pezzi del mio corpo e neppure i fischi, come fossi un cane, oggi sempre più in disuso.

Mi documento su quello che succede nei paesi dove la regolamentazione come in Germania e la decriminalizzazione come in Nuova Zelanda hanno permesso guadagni all’industria prostitutiva, rendendo più povere le prostituite Vedi ad esempio, Julie Bindel, Il mito pretty woman (Vanda, 2019).

Luciana Tavernini della Libreria delle Donne di Milano

Edizione del Manifesto del 26.05.2020