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BOOKPRIDE: Incontro con Monica Lanfranco e Lorenza Gentile

Data: 10/03/2024
Ora: 15:30
Luogo: BOOKPRIDE Sala Atene

con Monica Lanfranco e Lorenza Gentile

Figli: alleviamoli disertori del patriarcato e contro la misoginia

Per arginare la violenza maschile sulle donne occorre cambiare le parole, le pratiche educative e la cultura fin dalla base. Occorre crescere un figlio in modo diametralmente opposto al modello patriarcale, per far sì che non riproduca lo stereotipo virilista e misogino! Ne parliamo con Monica Lanfranco, giornalista, femminista, madre di due maschi, e Lorenza Gentile, scrittrice, madre di un maschio.

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Claude Cahun

Claude Cahun (1894–1954), personalità eccentrica e complessa, fu fotografa, giornalista, scrittrice, attrice, combattente antinazista. È fra i protagonisti più significativi del surrealismo e del panorama culturale francese della prima metà del Novecento. Il corpus cahuniano, eclettico e sovversivo, e soprattutto la notevole raccolta delle sue fotografie, è ormai simbolo di arte queer ante litteram.

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Caterina Serra

Caterina Serra, è scrittrice e sceneggiatrice. Nel 2006 ha vinto il premio Paola Biocca per il reportage letterario. Per Einaudi ha pubblicato Tilt (2008), e Padreterno (2015). Scrive per varie testate tra cui Il Manifesto, L’Espresso, Domani, e riviste online come OperaViva Magazine, Jacobin Italia, Doppiozero e minima&moralia. È inoltre ideatrice e autrice della rivista virale Alcol/:id19.

Blog di Caterina Serra.

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Andrea Roedig

Andrea Roeadig una saggista e giornalista freelance. Dopo il dottorato in Filosofia, ha lavorato come ricercatrice presso la Freie Universität di Berlino e per cinque anni è stata a capo della redazione culturale del settimanale der Freitag. Dal 2007 vive a Vienna ed è coeditrice della rivista letteraria Wespennest.

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Presentazione di “Classificare, dominare” di Christine Delphy

Data: 27/02/2024
Ora: 18:30
Luogo: Casa delle Donne di Milano, Via Marsala 10
Evento:

Deborah Ardilli e Carlotta Cossutta presenteranno “Classificare, dominare. Chi sono gli “altri” ?” (Vanda Edizioni) di Christine Delphy.

Irriverente, incisiva, ironica, Delphy mette a nudo le colossali mistificazioni dell’ideologia dominante, sospesa tra rigetto e inclusione delle “differenze”, sempre più conciliata con le disuguaglianze che riproduce su scala nazionale e internazionale .

Chi sono gli “altri” e da che cosa dipende  il  loro statuto subalterno?  È sulla  base  del sesso, dell’orientamento sessuale, della religione, del colore della pelle e della classe che avviene la costruzione sociale dell’alterità.

L’”altro” è  la donna,  il queer, l’arabo , il  nativo, il  povero. L’ideologia  dominante  liberale tollera, cioè tende la mano, avendo cura di lasciare sospesi nel vuoto i tollerati-dominati. L’omosessuale è tollerato  se  sa mantenersi discreto, il musulmano è tollerato se si nasconde per pregare, la  donna  è  tollerata  se  le  sue esigenze egualitarie  non  ledono  il  salario  e  il potere  dell’uomo,  l’orientale  è  tollerato  se  lascia  che  gli eserciti americani uccidano la sua famiglia per liberarlo dalla dittatura. L’ingiunzione a integrarsi è soprattutto  un  invito ad  essere simili, a seguire  le  regole  non  ufficiali ma molto reali dell’Occidente

L’autrice :

Christine Delphy ricercatrice al CNRS dal 7966. Nel  1968  ha  partecipato  alla fondazione del Movimento  di  Liberazione della Donna. Ha fondato con Simone de Beauvoir le riviste “Questions féministes ” e “Nouvelle Questions feministes “, di cui è stata  direttrice   per  alcuni  decenni.  Le  sue pubblicazioni più  importanti,  oltre  a  Il nemico principale l,  sono  Il nemico principale 2, Pensare il genere, Classificare, dominare, tutti in uscita per Vanda edizioni fra il 2022 e il 2023.

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Per una critica delle evidenze: il femminismo materialista di Christine Delphy

di Marcella Farioli

È stato tradotto di recente da Deborah Ardilli il volume di Christine Delphy, L’ennemi principal. 1. Économie politique du patriarcat, Syllepse, Paris 1998 (Il nemico principale. 1. Economia politica del patriarcatoVandA, Milano 2022, pp. 323).

«…et puis je suis tombée sur Delphy et ce fut comme une révélation» (S. Chaperon, in «Autour du livre de Christine Delphy L’ennemi principal», Travail, genre et sociétés 4, 2000/2, p. 164)

«Come una rivelazione», «come inforcare un paio di lenti», «come una boccata di aria fresca»: la maggior parte delle lettrici di Christine Delphy sintetizza con espressioni di questa natura la forza argomentativa e l’effetto dirompente di sgretolamento delle “evidenze” relative ai rapporti sociali di sesso provocato dalle pagine della sociologa francese, esponente tra le più illustri del gruppo di studiose e militanti femministe fondatrici della rivista Questions féministes. A partire dagli anni Settanta il collettivo di Questions féministes, animato da donne della componente femminista radicale del Mouvement de liberation des femmes, elabora l’insieme di analisi e di strumenti teorici definiti da Delphy come “femminismo materialista”. Le basi materiali dell’oppressione delle donne sono al centro dell’analisi di queste studiose, che sviluppano, soprattutto in campo antropologico e sociologico, importanti analisi del patriarcato, dei meccanismi di oppressione e appropriazione delle donne attraverso il lavoro domestico, dello scambio sessuo-economico e infine, ben prima della teoria queer, del ruolo binarizzante dell’eteronormatività.

L’analisi di Delphy si fonda sull’estensione del metodo materialista al genere, che la porta a  identificare due modi di produzione analiticamente distinti: al modo di produzione capitalista descritto da Marx si affianca un secondo modo di produzione, quello domestico (o patriarcale), che funziona fuori dal meccanismo del plusvalore ed è basato sulla cosiddetta “divisione diseguale” del lavoro domestico e sulla sua non-remunerazione. Con il termine “lavoro domestico” (travail domestique), Delphy designa non solo il lavoro familiare e di cura (travail ménager), ma anche il lavoro gratuito effettuato dalle donne nelle attività economiche del marito o del padre. Mentre il primo modo di produzione avvantaggia i capitalisti, il secondo avvantaggia gli uomini.

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Margaret Cavendish, icona del (proto)femminismo occidentale, L’Indice

I discorsi arguti e gli innocenti passatempi di MadMadge

di Giuseppe Sertoli

Mad Madge, “Meg la pazza”, sembra la chiamassero i londinesi quando la vedevano passare in carrozza scortata da lacché in divise di velluto e, se le circostanze lo richiedevano, con un seguito di gentiluomini e damigelle a reggerle lo strascico di un abito, da lei stessa disegnato, poco meno che regale. I ragazzini accorrevano ad ammirare le sue fastose e stravaganti acconciature, delle quali lei andava fierissima perché se c’era qualcosa che detestava era l’ordinarietà: “Mi adopero per essere massimamente singolare, poiché l’imitazione non denota altro che una natura volgare”. Adulata per il suo rango sociale, dietro le spalle era però derisa non solo per le sue eccentricità – di abiti, comportamento e linguaggio –, ma più ancora per le sue velleità intellettuali. “La povera donna è certamente fuori di testa” commentò Lady Osborne dopo aver sfogliato un suo volume di Poems and Fancies (1653) – il primo di una ventina di tomi pubblicati, con tanto di nome sul frontespizio (cosa inaudita a quel tempo per una donna), nell’arco di altrettanti anni –, rincarando poi la dose: “in manicomio ci sono molte persone più sane di mente di lei. È tutta colpa dei suoi amici che la lasciano fare”. Quasi trecento anni dopo, Virginia Woolf non sarebbe stata più comprensiva, paragonando la sua opera a separare un gigantesco, mostruoso cetriolo che avesse soffocato “fino a ucciderli” tutti i garofani e le rose di un giardino. Fuor di metafora: “Torrenti di versi e di prosa congelati in volumi in quarto e in folio che nessuno legge”, “scribacchiature senza senso” che la fecero “sprofondare sempre più nell’oscurità e nella follia”. Se solo ci fosse stato qualcuno a “insegnarle”, a “contenerla”…

E tuttavia questa povera pazza, che non potendo “conquistare il mondo come Alessandro o Cesare” avrebbe voluto almeno passare alla storia come “Margaret the First”, è l’autrice da trent’anni più studiata, discussa e commentata della letteratura inglese early modern. Un’autentica, seppure controversa, icona nella storia della scrittura femminile e del (proto)femminismo occidentale.

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Donne di destra su Il fatto quotidiano

Donne di destra, ovvero come si costruisce il consenso al familismo
di Monica Lanfranco

Ci sono libri che con la loro chiarezza non scadono mai, perché la loro attualità sta nell’analisi con strumenti di lettura universali della realtà anche se il tempo scorre. Uno di questi libri è stato scritto nel (apparentemente) lontano 1982 dalla studiosa, scrittrice e attivista femminista Andrea Dworkin, che così ne ringraziava un’altra per esserne stata la scintilla: ”Questo libro deve la propria esistenza a Gloria Steinem: è stata sua l’idea di ampliare un saggio precedente, Safety, Shelter, Rules, Form, Love: The Promise of the Ultra-Right, apparso su Ms. (giugno 1979), fino a trasformarlo in un volume. Ringrazio Gloria non solo per l’idea, ma anche per avere insistito sulla sua importanza”.

Nelle cinque parole del saggio pubblicato dall’autorevole mensile femminista Usa sta la chiave per capire molto del tempo nel quale noi viviamo: della fascinazione di gran parte dei popoli europei per il nazionalismo, del consenso, anche a sinistra, verso il relativismo culturale e, infine, del benestare femminile verso la destra politica e ideologica, che oggi in Italia ha nella prima ministra una antesignana di spicco (prima donna in questo ruolo, che ricopre negando di nominarsi donna mentre lo esercita, in una torsione simbolica degna di sforzi che andrebbero meglio riposti).

Sicurezza, riparo, regole, modello, amore: ecco i cinque concetti messi sotto la lente nel libro della Dworkin Donne di destra – la politica delle donne addomesticate, tradotto e pubblicato dalla casa editrice femminista Vanda con la preziosa introduzione di Stefania Arcara e Deborah Ardilli.

Le cinque parole, secondo Dworkin, sono le pietre miliari simboliche sulle quali si costruisce l’adesione, delle donne in particolare, al pensiero e alla politica della destra, specialmente nei passaggi di crisi cruciale come questa che stiamo attraversando. Ogni essere umano ha bisogno di vivere potendo contare su livelli accettabili di sicurezza e riparo, come ha necessità di condividere con altri esseri umani regole e modelli di comportamento e, infine, ha bisogno di amore e di amare. Ma quando alcuni di questi bisogni e condizioni sono minacciati, ecco che si riduce lo spazio per la negoziazione e si rischia di cadere nella trappola del consenso cieco a chi, promettendo protezione in primis, la fornisce al prezzo della diminuzione della propria libertà, quella individuale così come quella collettiva.

Per raccontare e spiegare a fondo il meccanismo che induce le donne a dare consenso alla destra politica, Dworkin analizzò il fenomeno della prostituzione e della pornografia, che indagò per decenni dopo una dolorosa parentesi di vissuto personale, concludendo che “Quello che i pornografi hanno fatto è stato prendere la libertà sessuale per cui avevamo lottato e trasformarla in un’industria orientata al profitto, che fornisce prodotti, incentrata sull’odio per le donne”.

Come sostengono Arcara e Ardilli nell’introduzione al testo occorre, anzitutto, disporsi a riconoscere che se la destra familista e antiabortista manipola con successo le paure delle dominate, al punto da rendere allettante un’insidiosa offerta di protezione, è perché fa leva su paure realmente fondate: non in un comparto separato dell’inconscio femminile, e nemmeno in un’indole naturalmente timorosa, ma nella situazione concreta delle donne all’interno della società patriarcale.

Le donne di destra «non hanno torto», sostiene ripetutamente Dworkin. Non hanno ragione, ma ciò non significa che siano in preda all’obnubilamento totale. Presa isolatamente, e letta maliziosamente, l’affermazione «non hanno torto» può suonare come una rovinosa concessione ideologica al conservatorismo. Ricollocata all’interno del suo contesto argomentativo, rimanda alla tragedia della salvezza ricercata attraverso la propria distruzione, sotto un imperativo di sopravvivenza che riduce severamente i margini di manovra e le possibilità di fuga.

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Intervista ad ANGELA DI LUCIANO, co-fondatrice di VandA edizioni

Intervista ad ANGELA DI LUCIANO, co-fondatrice di VandA edizioni insieme a VICKI SATLOW e SILVIA BRENA, che ci parla delle origini della casa editrice e di tre strenne proposte di VandA.

1) PINA MANDOLFO, Lo scandalo della felicità, 2023.

2) CAROL GILLIAGAN e NAOMI SNIDER, Perché il patriarcato persiste, 2021

3) ANDREA DWORKIN, Donne di Destra. La politica delle donne addomesticate, 2023.

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Golda Meir

Golda Meir (1898-1978) è stata una politica israeliana, un’insegnante e la quarta donna al mondo e l’unica in Israele a ricoprire la carica di primo ministro. Spesso descritta come la Lady di Ferro della politica israeliana, David Ben-Gurion la definiva “il miglior uomo del governo”. Ha ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui il James Madison Award for Distinguished Public Service, dell’Università di Princeton, e il Premio Israele, per il suo speciale contributo alla società e allo Stato di Israele. Inserita nella Colorado Women’s Hall of Fame, diversi i luoghi a lei dedicati, tra cui la biblioteca dell’Università del Wisconsin-Milwaukee, una piazza a New York e un boulevard a Gerusalemme.