Ecco qui un estratto dal libro Aphra Behn, l’incomparabile Astrea di Vita Sackville-West in uscita il 20 Ottobre.
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❝Aphra Behn, quella signora affabile «che indossa una vestaglia slacciata, con il collo e i seni scoperti… Che fuoco ha negli occhi! Che passione nei movimenti! Quanta sicurezza nella sua espressione!». Quella signora nasce a Wye, vicino a Canterbury, nell’estate del 1640 e da giovanissima scompare dalle coste dell’Inghilterra e dalle pagine di una biografia rispettabile. Dal momento in cui, neonata, fu portata in braccio oltre i campi di luppolo nella chiesa ai piedi della collina verde di Wye, intraprese una carriera ricca di controversie e contraddizioni. La sua famiglia, il luogo di nascita, il ceto sociale del padre, la grafia del nome, i luoghi dell’infanzia e dell’adolescenza, la grafia del cognome del marito, la stessa esistenza di un marito, sono tutti stati oggetto di discussione. Il che rende la questione particolarmente delicata e stimolante per il biografo. Dovrà chiamarla Aphra, Ayfara, Aphara, Aphora, Afra, Apharra, Afara o, ancor più fantasticamente, Aphaw o addirittura Fyhare? Dovrà chiamarla Amis o Johnson? Dovrà scrivere Behn, Bhen o Behen? Dovrà tenerla a Wye o spedirla in Suriname? Se la spedisce in Suriname, deve spedircela una o due volte? Deve credere a Van der Albert e a Van Bruin? Lei riposa sotto una lastra di marmo nero nell’Abbazia di Westminster e non può rispondere a queste domande.
Ma diciamo subito che Aphra Behn non è Shakespeare, a proposito del quale il più piccolo indizio su un particolare della vita sarebbe considerato prezioso e degno di essere indagato. Il biografo che si fa strada nel groviglio di date e di fatti, che si avventa con gioia su qualche inaspettata conferma, che fa a pezzi, distrugge e infine scarta definitivamente qualche teoria plausibile, dipanando una storia con la pazienza con cui si dipana un filo imbrogliato e lo si riavvolge in un gomitolo ordinato – il biografo potrebbe farsi tentare da analisi così minuziose da risultare solo noiose per il lettore comune. È già abbastanza se riuscirà a convincere il lettore a prendere per buono il suo bagaglio di conoscenze specifiche e a permettergli di tracciare un’immagine più nitida, l’immagine della signora Behn nella sua vestaglia slacciata, una donna magari un po’ trasandata e spesso un po’ volgare, ma sempre generosa, calorosa e gentile, che lavora sodo scrivendo in fretta i suoi dialoghi in una squallida stanza londinese. Ogni tanto è interrotta dai giovani scribacchini di Grub Street che bussano alla porta, certi di essere accolti da battute scherzose, solidarietà e buonsenso e – se necessario – dal soccorso di un borsellino di solito non troppo pieno. Una volta il nome di Aphra Behn si poteva a stento pronunciare, o lo si pronunciava solo scusandosene: quel nome era sinonimo di tutto ciò che di osceno vi era nella vita e nella letteratura. «Era solo una sgualdrina», afferma uno scrittore con tono irritato e altezzoso, «che danzava nel lerciume». Eppure, anche se ambienta le sue scene in bordelli e camere da letto, se il suo linguaggio non è consigliabile ai delicati di stomaco e se nella vita privata ha seguito i dettami della propria inclinazione piuttosto che quelli della morale convenzionale, nella storia della letteratura inglese Aphra Behn rappresenta qualcosa di molto più importante di una semplice sgualdrina. Il fatto che abbia scritto è molto più importante della qualità di ciò che ha scritto. Aphra Behn è importante perché è stata la prima donna in Inghilterra a guadagnarsi da vivere con la penna.
È vero, l’impareggiabile Orinda aveva preceduto l’incomparabile Astrea. Ma Orinda non era una scrittrice professionista. Non doveva guadagnarsi da vivere. Non era né romanziera, né drammaturga: era solo una ricca dilettante che si occupava a tempo perso di poesia, un’apostola dell’amicizia che ospitava un salotto letterario. C’era stata la duchessa di Newcastle, castle era una gran donna, seppur eccentrica, la quale, anche se scrisse – e scrisse freneticamente – per la fama, non può essere considerata in alcun senso del termine una che si mise in competizione nel mondo concorrenziale delle gelosie letterarie. La signora Behn, invece, si gettò nella mischia. Stava a Grub Street insieme ai migliori scrittori, rivendicava gli stessi diritti degli uomini, fu un fenomeno mai visto prima e, quando fu notato, suscitò un’ostilità feroce. La rabbia dei suoi critici e dei suoi rivali fu eguagliata solo dalla sua rabbia per non essere giudicata in maniera imparziale. Era ben consapevole del proprio ruolo di pioniera e sicura di saper portare avanti il compito che aveva intrapreso: la sua lingua e la sua penna divennero taglienti di fronte all’ingiustizia degli attacchi sferrati contro di lei. «Un’opera penosa – dannazione! – perché è di una donna». Benché talvolta arrabbiata e spesso ferita, non si scoraggiò mai. Romanzi, traduzioni, poesie, opere teatrali sgorgarono dalla sua penna, insieme a ingiurie e rappresaglie contro i suoi detrattori. Dal momento in cui iniziò a scrivere fino al giorno della sua morte, non fu mai sconfitta. Con la sua ostinazione ha reso un servizio al suo sesso, e non fu un servizio da poco. Una schiera di donne seguì la strada da lei tracciata con tanta fatica: Elizabeth Rowe, Mary Pix, Eliza Haywood, Jane Barker, Penelope Aubin, Mary de la Rivière Manley, per nominarne solo alcune, furono le sue eredi dirette. Le sue opere forse non vengono lette, ma è in qualità di pioniera che, a sua eterna gloria, dovrebbe essere ricordata…❞
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