EUROPEE. L’ECONOMISTA PIERANGELO DACREMA: CON LA SUA LATITANZA SUI TEMI SOCIALI L’EUROPA HA ALIMENTATO ESSA STESSA POPULISMI E SOVRANISMI Il professore di Economia degli intermediari finanziari all’Università della Calabria, autore di Sognando l’Europa – Grande statista cercasi: «I sovranismi non vinceranno, ma l’Europa ha tradito il suo mandato. Deve correre ai ripari e mettere al centro la giustizia sociale». «Con le sue latitanze sulle grandi e drammatiche questioni sociali l’Europa ha alimentato essa stessa una forma di antieuropeismo e quindi i populismi e i sovranismi che attraversano come un vento freddo il Vecchio Continente». Lo dice il professore di Economia degli intermediari finanziari all’Università della Calabria, Pierangelo Dacrema, autore di Sognando l’Europa – Grande statista cercasi(Edizioni All Around), libro che contiene anche un’intervista di Dacrema al sondaggista e studioso, Renato Mannheimer. Per l’autore le prossime Europee rappresentano un snodo fondamentale per il futuro della Ue, ma il professore si dice convinto che «i populisti e i sovranisti non avranno il successo che sperano. Non basta baciare il rosario o alimentare campagne securitarie e anti immigrati per vincere. Ma, a maggior ragione – avverte Dacrema – è ora che l’Unione europea, da troppo tempo orfana di grandi ideali, rilanci con forza il progetto europeo proprio per riconquistare i tanti antieuropeisti, che, in gran parte, non sono che europeisti delusi». Per rinvigorire il progetto europeo, sostiene l’autore di Sognando l’Europa, «non si può che ripartire dall’equità, dal benessere diffuso dei suoi cittadini, dalla pace sociale, da politiche reali per combattere il dramma della disoccupazione». Mentre L’Ue questi anni «ha contenuto il tasso di degrado della moneta, ovvero l’inflazione, entro il 2 per cento – la Bce ha di fatto come unico mandato la salvaguardia dell’euro –, non si è preoccupata di contenere il tasso di degrado della società, cioè la disoccupazione, che colpisce pesantemente l’Italia ma non risparmia, in ogni caso, la gran parte delle nazioni europee. Basti pensare che la cosiddetta locomotiva tedesca ha un tasso di disoccupazione che sta intorno al 7 per cento». Insomma, l’economia ha prevalso sulla politica. E ora l’Europa «deve correre ai ripari: se vuole disarmare i populismi in agguato deve dare forza a una Europa diversa. Perché una cosa è certa, anche gli europeisti convinti non si accontentano certo dell’Europa di oggi». |
Mese: Maggio 2019
Libertà di prostituirsi?
di Mira Furlani, 16 maggio 2019
Sabato 11 maggio 2019 alle ore 18.00 mi sono sintonizzata sulla pagina facebook di Dialogo-Libreria delle donne di Milano, e ho ascoltato in streaming l’incontro intitolato Prostituzione: né sesso, né lavoro. L’incontro si basava sul testo Né sesso né lavoro. Politiche sulla prostituzione di Daniela Danna, Silvia Niccolai, Luciana Tavernini, Grazia Villa, pubblicato da VandA.epublishing.
L’incontro, che si svolgeva nella sede della Libreria delle donne, era condotto dalla giornalista Mariangela Mianiti che ha animato la discussione con due delle autrici: la curatrice e sociologa Daniela Danna e la costituzionalista Silvia Niccolai.
Sia gli interventi delle due autrici che il dibattito che ne è seguito sono stati estremamente interessanti. Mi ricordo che a un certo punto Luisa Muraro ha affrontato la questione della libertà di prostituirsi e nel rispondere all’intervento di una giovane donna presente all’incontro, Luisa ha detto che sì, la giovane interlocutrice era libera di prostituirsi, ma in privato. Non ricordo bene tutto il resto. Ho cercato di riascoltare lo streaming in differita, ma fra i video pubblicati su you tube nella pagina della Libreria, purtroppo ancora non è comparso.
Di questi tempi mi sono trovata spesso in difficoltà nel discutere con donne, giovani e meno giovani, del desiderio e della libertà di poter usare il proprio corpo a piacimento nella prostituzione. Una discussione del genere è stata difficile perfino con una mia parente che difendeva la libertà delle donne di prostituirsi secondo il proprio desiderio. Una posizione difficile da contrastare perché frutto dell’ideologia neoliberista della nostra epoca e che resta incomprensibile per quelle che, come me, hanno letto il libro di Rachel Moran (Stupro a pagamento. La verità sulla prostituzione, Ed. Round Robin). Così, non soddisfatta della risposta ascoltata nello streaming, ho deciso di scrivere a Luisa Muraro una mail facendole la seguente domanda:«Cara Luisa, mi puoi dire, in breve, in che senso una si può prostituire in privato? Mi pare che Rachel Moran abbia scritto che farlo in privato o pubblicamente è sempre stupro a pagamento».
Ecco la pronta risposta di Luisa Muraro:
«Cominciamo con l’impostazione del problema, che è sempre la cosa trascurata, essendo secondo me la prima se non la più importante mossa da fare per ragionare bene. Ci troviamo sulla scena politica di oggi, nessuna di noi si trova nella posizione di Rachel Moran, alla quale riconosciamo per altro una grande autorità in questo tema. Noi siamo in Italia, ci interessa (a me e altre) impedire la manomissione della legge Merlin (una eventualità che incombe) e ci sono giovani donne (incoraggiate da uomini politicamente impegnati, di sinistra) che reclamano pubblicamente la libertà di prostituirsi. Questione n. 1: che cosa reclamano queste giovani donne (esclusi ovviamente quelli/e che le citano strumentalmente), che cosa reclamano da me e dal femminismo critico verso la pratica sociale della prostituzione?
Cerco di capirlo e rispondo alla giovane donna con cui mi sto idealmente confrontando (è successo anche realmente): se tu vuoi mettere il tuo corpo a disposizione di qualcuno desideroso di fare sesso e disposto a pagarti, guarda che la legge non te lo impedisce. Non solo: se è questo che desideri, io ti dico di farlo. Sono una femminista che ha sempre difeso il desiderio femminile. La legge, d’altra parte, non te lo proibisce. Per parte mia aggiungo una sola cosa: ti chiedo di farlo con riservatezza, penso a te (fare sesso è qualcosa che non si esibisce, che sia gratis o a pagamento, come la masturbazione o altre attività erotiche) e penso a un altro aspetto della faccenda: se tu pretendi che la prostituzione sia riconosciuta dalla legge come un tuo diritto, cioè come un’attività commerciale al pari di tante altre, tu apri le porte al commercio dei corpi femminili, non solo, le apri anche al dovere che la legge ha di tutelare tutte le attività lecite. Apri cioè le porte ai bordelli, ai quartieri a luci rosse, alla pubblicità e a tutto quello che fa sentire a posto un uomo che mette le mani sul corpo di una donna qualsiasi, sentendosi autorizzato dal fatto che la paga. E faciliti così enormemente la tratta di donne costrette a prostituirsi. Tu puoi dire in buona fede: non è questo che voglio, ma è questo che capita. Perciò ti dico: realizza quello che desideri senza chiedere autorizzazioni (dalla legge o dall’autorità femminile) che non sono necessarie. A questo cambiamento di natura simbolica che, dietro alla finzione neoliberista della libertà, ci riporterebbe alla civiltà patriarcale, io mi oppongo. E ti chiedo di realizzare il tuo desiderio o il tuo bisogno con tutta la riservatezza possibile: lo chiede la pratica della sessualità non pornografica, lo chiede la politica delle donne. Ciao, Luisa.»
Ho avuto l’autorizzazione da Luisa Muraro di pubblicare questa sua risposta che io ho trovato chiara e realista e penso sia necessario e urgente farla conoscere. Bisogna che, in qualche modo, venga pubblicata e divulgata, fatta leggere a donne e uomini, giovani e meno giovani, a madri e a nubili e anche a uomini di buona volontà (ne esistono, per fortuna). È cosa urgente. Grazie a Luisa.
(www.libreriadelledonne.it,15 maggio 2019)
Prostituzione: esiste la libera scelta?
di Giovanna Pezzuoli (27esima ora, 12 maggio 2019)
– «Nè sesso nè lavoro»
«Io non lo farei mai, ma se qualcuna vuole farlo perché proibirglielo?», «È una libera scelta, non bisogna essere giudicanti», «Si deve legalizzare, se stanno al chiuso sono più protette». Ebbene sì, stiamo parlando di quello che viene definito «il mestiere più antico del mondo» e dei luoghi comuni, slogan, semplificazioni, fraintendimenti, che accompagnano le politiche sulla prostituzione, messi in luce da un libro per molti aspetti chiarificatore, Né sesso né lavoro (VandA.ePublishing, 2019), firmato da quattro autrici, la sociologa Daniela Danna, la costituzionalista Silvia Niccolai, la storica Luciana Tavernini e l’avvocata Grazia Villa. Se ne è parlato l’altra sera in un vivace e affollatissimo dibattito alla Libreria delle donne di via Calvi 29, dove si notava la presenza anche di molte giovani. Tutte (e tutti, visto che non mancava qualche uomo) coinvolte nella riflessione su un fenomeno complesso, di recente ritornato all’attenzione delle cronache, sia per le sentenze delle Corti Costituzionali italiane e francesi che hanno respinto, nel primo caso (il 6 marzo) il ricorso contro l’incostituzionalità della legge Merlin, nell’altro (il 2 febbraio) il ricorso contro la «penalizzazione» dei clienti, prevista dal modello nordico o neo abolizionista, adottato anche in Francia, Irlanda, Irlanda del Nord, Canada, Islanda e Norvegia, e dal 2020 in Israele.
Altro evento recente, la consegna, il 10 aprile, al Parlamento olandese di una petizione, con 42 mila firme, contro l’attuale regolamentazione (case chiuse) e a favore dell’introduzione del modello svedese (che prevede appunto non punibilità della prostituta, la punibilità del cliente e percorsi di sostegno per chi esce dall’attività).
Il modello svedese toglie la donna che si prostituisce da una posizione di inferiorità, ha sottolineato Silvia Niccolai, come già faceva la legge Merlin (promulgata in Italia il 20 febbraio del 1958), che denunciava il concetto di fondo della prostituzione, ovvero che il denaro compri il consenso per l’accesso a un corpo, denaro che assolve e risolve in questa «Idra alla quale non si è mai tagliata la testa», il ruolo del cliente o «prostitutore». Ma Lina Merlin, una socialista, umanitaria, con una forte sensibilità per le ingiustizie del mercato, si interrogava sui compiti dello Stato. La domanda era: la prostituzione è una fonte di profitto che lo Stato intende incoraggiare?
Cominciamo dunque a non lucrare sulla vendita dei corpi, invece la narrazione diffusa è che si tratti di una legge moralista. Di fatto i giudici hanno spesso tradito la legge Merlin, prosegue l’autrice, rifacendosi al codice Rocco che lasciava le donne libere di prostituirsi ma puniva comportamenti come violenza, sfruttamento, «condotte disfunzionali» che danneggiavano le case chiuse. Lina Merlin invece chiude i bordelli, vietando lo sfruttamento economico della prostituzione, ma non qualifica come punibile l’attività della prostituta che ha diritto alla piena cittadinanza. Le interessa cancellare lo stigma. Del resto, aggiunge Luciana Tavernini, Lina Merlin prima di formulare la legge ha letto le testimonianze, spesso drammatiche e desolanti, di oltre duemila donne delle case chiuse, tra cui molte lettere (una selezione pubblicata nel 1955 è ora scaricabile dal sito della Fondazione Anna Kuliscioff). Che senso avrebbe dunque punire chi subisce violenza?
L’accusa di moralismo alla legge deriva dal fatto che impedirebbe alla donna che si prostituisce di trasformare la propria attività in un’impresa. Il focus della legge non è il comportamento della donna ma l’attività economica che si svolge attorno a lei. È interessante, nota Daniela Danna, il fatto che il discorso a favore delle sex workers, ovvero dell’idea che le prostitute siano lavoratrici del sesso tout court, non sia diffuso soltanto fra governanti di destra ma anche tra le giovani generazioni con visioni progressiste e radicali. Secondo la sociologa, è proprio l’obiettivo delle politiche neo liberali ridurre tutto a mercato, invadendo la sfera personale/sessuale, mentre la vita lavorativa subisce la progressiva erosione di ogni tutela. Con l’illusione di una libera scelta e di un allargamento dei diritti delle donne, tutti i rapporti umani finiscono per essere regolati dai mercati, come nella gravidanza per altri e nella compravendita di neonati.
La prostituzione non è il mercato del sesso, ma il «mercato dell’abuso», dice ancora Daniela Danna, l’asimmetria messa in luce dalla legge Merlin è il nocciolo della questione. Chi compie l’abuso? Ogni uomo che paga, è un consenso comprato. In questo senso è un passo in avanti il modello svedese che multa i clienti, un segnale che ci sono limiti a ciò che si può fare al corpo di un’altra.
Quanto alla libera scelta come parola d’ordine, è appassionato l’intervento di Marisa Guarneri, del Cadmi di Milano, che dalla sua esperienza con le donne maltrattate ha tratto la convinzione che in situazioni di forte violenza la libera scelta non esiste. Così nel dibattito sulla prostituzione parole come libertà e libertà di scelta sarebbero solo mine vaganti. La tematica della libera scelta fa parte del linguaggio utilizzato dai movimenti radicali che inconsapevolmente usano termini neo liberisti. La libertà non è scegliere fra due alternative concesse ma capire come realizzarsi sviluppando al meglio le proprie potenzialità.
Parlare di sex workers sembrerebbe un modo per ridare dignità alle «puttane», sottolinea Daniela Danna, ma non è così. In Australia dove la prostituzione nei bordelli è legale, tra i consigli dati alle prostitute c’è quello di non usare anestetici locali altrimenti «non vi potete rendere conto di quanto il cliente vi sta facendo male». Nella richiesta di essere riconosciuta come sex worker Luisa Muraro coglie il desiderio di avere un minimo di dignità. Ed è proprio quello che ha tentato di fare Lina Merlin, non punendo la prostituta ma impedendo che si costruisse un’industria, privata o di Stato, sul suo sfruttamento.
Ci accusano di essere «proibizioniste», dice ancora Danna, ma il proibizionismo vieta l’uso di sostanze, mentre qui si tratta dell’uso delle persone. È un’arma retorica contro l’abolizionismo, termine che non a caso evoca le lotte dei movimenti abolizionisti che volevano eliminare la schiavitù.
Ma che senso ha impegnarsi nella difesa di una legge, peraltro in Italia molto maltrattata ed elusa, si chiede infine Silvia Niccolai. Non si tratta tanto di dire com’è bella questa legge, quanto di raccoglierne l’eredità, riconoscendo la validità del principio che non si può regolamentare la sfera privata. Per quanto abbia letto con dolore il libro di Rachel Moran Stupro a pagamento. La verità sulla prostituzione, Silvia capisce ma non condivide la scelta di punire il cliente, che in fondo non fa altro che «comprare una finzione». Piuttosto serve una riflessione, uno sguardo di donna sulla prostituzione, come cerca di fare Luciana Tavernini, ripercorrendo i rapporti fra femministe e prostitute dall’inizio del Novecento (quando Ersilia Majno fondò a Milano l’Asilo Mariuccia per adolescenti «traviate») ad oggi, interrogandosi sul senso del lavoro ed esplorando nuove possibili alleanze tra lavoratrici e lavoratori e prostitute «perché combattere contro la prostituzione non significa combattere contro queste ultime, ma, come con lo schiavismo, lottare per la dignità del lavoro dipendente e di chi lo fa».
A completare il libro, l’avvocata Grazia Villa mette a confronto i 22 progetti di riforma della legge Merlin depositati in Parlamento nelle ultime due legislature e nell’attuale, cogliendo gli elementi comuni a posizioni politiche che sembrano proporre concezioni differenti dei rapporti fra i sessi.
Restano tuttavia aperte molte questioni, a partire dal dilemma che veniva formulato da Bia Sarasini nella riproposta, nel 2012, del libro Sesso al lavoro di Roberta Tatafiore: perché aumenta la domanda di rapporti sessuali a pagamento in un’epoca in cui le donne non sono più inaccessibili fortezze da espugnare? Ovvero, che cosa cerca oggi chi vuole comprare sesso? E ancora: è giusto definire prostituta chiunque venda l’integrità del proprio corpo per denaro? È possibile tracciare un confine netto fra donne per bene e malefemmine? Problemi che coinvolgono soprattutto le nuove generazioni, frastornate dalla continua offerta dei corpi femminili in uno spazio pubblico e simbolico interamente permeato dal sesso commerciale.
E qui si coglie meglio il senso di quella domanda Why not? formulata da giovani che vendevano i loro corpi a pagamento, alimentando un immaginario, certamente distorto ma diffuso, per esempio in film come Giovane e bella di François Ozon, con la storia della doppia vita della diciassettenne Lèa che partendo da una sessualità vissuta con disagio, sceglie di prostituirsi non per necessità, né per denaro ma quasi per curiosità o forse per gioco.
Ecco perché il «sex work» non esiste: 8 falsi miti sulla prostituzione
di Antonella Mariani (Avvenire, 8 maggio 2019)
– Non è una scelta, non è libertà né autodeterminazione. E la Legge Merlin è ancora viva e vegeta. In un saggio quattro studiose spiegano perché la prostituzione si deve abolire. Come la schiavitù.
La prostituzione può essere considerata un lavoro? No, per nulla. Il sex work (come ora si usa dire per nascondere la realtà dei fatti, cioè la sopraffazione e l’abuso nascosti in un rapporto sessuale a pagamento) non è affatto un lavoro. E non è nemmeno sesso. Con passione e competenza quattro esperte in diversi campi analizzano il mercato del sesso in Italia, un Paese in cui una ottima legge (la Merlin del 1958), animata da una forte tensione etica, è ancora ben lungi dall’essere applicata fino in fondo: la lotta alla tratta non è una priorità e sulla prostituzione vige il laissez-faire, mentre si moltiplicano proposte di legge che mirano, sessant’anni dopo, alla riapertura delle case chiuse.
In “Sew work, né sesso né lavoro” (VandA, pagg. 208, euro 15,90) la sociologa Daniela Danna offre uno sguardo sulle politiche sulla prostituzione in vari Paesi del mondo. La giurista Silvia Niccolai ripercorre la vita travagliata della Legge Merlin, che oggi si vorrebbe ingiustamente smantellare, l’avvocata Grazia Villa commenta le tante proposte di legge avanzate in Italia e infine la pedagogista Luciana Tavernini ragiona sul rapporto tra gli uomini e la prostituzione, e tra quest’ultima e il femminismo, anche alla luce del movimento antimolestie #Metoo.
Nel complesso, un libro prezioso, che offre un contributo di documentazione e di riflessione per chi è convinto, come lo sono le autrici, che la linea giusta sia quella di abolire la prostituzione, così come in passato si è arrivati a cancellare la schiavitù. La presentazione del libro si terrà sabato 11 maggio alle 18 alla Libreria delle Donne di Milano, presenti Danna e Niccolai.
Servendoci dei contenuti di questo libro, largamente citati, abbiamo provato a sfatare alcuni tra i falsi miti più diffusi sulla prostituzione.
1) La prostituzione può essere una scelta, espressione della libertà sessuale e dell’autodeterminazione femminile. FALSO
Molte ex prostitute (le cosiddette sopravvissute, la più famosa delle quali è Rachel Moran che ha raccontato la sua esperienza in Stupro a pagamento) chiariscono come la prostituzione non è mai una libera scelta, nemmeno quando si tratta delle cosiddette escort. Nessuna donna può essere felice di essere umiliata e trattata come una merce. Chi si prostituisce di fatto rinuncia alla sua autodeterminazione sessuale, quindi alla sua libertà. Chi difende la (presunta) libertà della donna di prostituirsi in realtà difende la possibilità del cliente di approfittare del suo corpo. Quanto alla libertà di impresa economica, essa non ha diritto di essere riconosciuta come tale se genera profitti ingiusti, come pensava la senatrice Lina Merlin richiamandosi all’articolo 41 comma 2 della Costituzione (L’iniziativa economica privata (…) non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana). La prostituzione, anche se “libera”, rientra nel caso di un’economia immorale che alimenta i suoi profitti con lo sfruttamento puro e semplice del corpo delle donne. La prostituzione, in conclusione, è la negazione della libertà: è la dimostrazione che tutto – perfino la sfera sessuale – è misurabile con denaro, in un’ottica biecamente consumistica e capitalistica.
2) Si deve legalizzare la prostituzione: se le donne stanno al chiuso sono più protette. FALSO
Chi sostiene questo sta dalla parte degli sfruttatori e dei trafficanti di esseri umani che riforniscono i bordelli della merce-sesso. L’esperienza dimostra che oggi, in Germania come negli Stati Uniti, nei bordelli legali si trovano normalmente donne vittime di tratta, in gran parte straniere, soggette a violenze sessuali e in generale fisiche in misura ancora maggiore di coloro che esercitano “all’aperto”, dato che i clienti, poiché hanno pagato e si trovano in una situazione priva di rischi, si sentono legittimati a fare ciò che vogliono.
3) Con la legalizzazione almeno le prostitute pagherebbero le tasse e il Pil sarebbe più alto. CINICO
È quantomeno cinico considerare lo sfruttamento del corpo delle donne come una economia “sommersa” da far emergere, per partecipare anch’essa alla crescita del Pil. “Ce lo chiede l’Europa”, è la giustificazione che porterebbe, in nome del dio-Pil, ad abbatterebbe ogni confine alla mercificazione femminile.
4) Il lavoro sessuale (sex work) è un lavoro come gli altri. FALSO
Niente affatto, e lo dimostrano le testimonianze di chi è uscito dal “mercato”, che parlano di umiliazioni e soprusi continui. Ma è l’idea stessa di scambiare rapporti sessuali con denaro ad essere contraria alla dignità della donna e alla parità di genere. Nonostante la prostituzione sia regolamentata in diversi Paesi, la sessualità non è un bene commerciabile. Il termine “servizio sessuale” nasconde l’abuso; legalizzare il lavoro sessuale significa trasformare il corpo della donna in luogo di lavoro e legalizzare l’abuso sessuale. La differenza soggettiva con uno stupro è solo perché si è pattuito di non fare resistenza. Il “lavoratore del sesso” rinuncia alla propria sfera intima e mette sul mercato non solo la propria forza lavoro ma principalmente l’intimità sessuale, cosa che è strettamente tutelata in qualsiasi altro impiego. In ogni lavoro ogni sopraffazione, ogni abuso sono severamente perseguiti dalla legge, qui invece ne sono parte essenziale. Quindi, sex work non è lavoro. E non è nemmeno sesso.
5) Poter esercitare il sex work è un diritto umano. FALSO
Questo è il falso mito diffuso in particolare da alcune agenzie per i diritti umani (tra cui Human Right Watch, l’Oms, Unaids e Amnesty International), secondo il quale i sex workers sono un gruppo oppresso. In realtà il diritto che il modello del sex work difende è quello di chi compra, che vuole essere libero di offrire denaro per ottenere una prestazione sessuale. Chi la vende, invece, è solitamente in uno stato di bisogno. E le persone più deboli della società dovrebbero poter far valere ben altri diritti umani: al cibo, alla casa, alla sanità, al lavoro.
6) La prostituzione è una cosa, la tratta è un’altra. INGENUO
Chi sostiene questo finge di non sapere che per un cliente non c’è nessuna differenza tra “merce libera” e “merce trafficata”. Anzi, la maggior parte dei clienti cerca ragazze molto giovani, poco più che bambine. Come può credere che siano libere? In alcuni ambienti utraliberisti la finzione è così avanzata che si cancella la parola tratta per parlare di migrazione per il sex work. Al contrario la posizione abolizionista, condivisa da una parte importante e qualificata del mondo femminista, “considera la tratta non il caso particolare di ciò che di malvagio accade nella prostituzione, ma che l’acquisto dell’accondiscendenza al proprio sfogo sessuale diretto sul corpo altrui – quasi sempre femminile – è violento e inumano di per sé” (Daniela Danna).
7) Non ci sono solo donne nel mercato del sesso. IRRILEVANTE
No, ma sono la maggioranza. La narrazione di persone transessuali e ragazzi gay che rivendicano di scegliere la prostituzione non può oscurare le voci, sempre più numerose, di ex prostitute (le sopravvissute) che denunciano il falso mito della libertà di prostituirsi.
8) La Legge Merlin ha fatto il suo tempo. Bisogna prendere atto che è superata. FALSO
La Legge Merlin stabiliva un principio tuttora valido: il corpo di una donna non può essere oggetto di regolamentazione pubblica, perché questo offende l’eguaglianza e la libertà di ciascuna e mette a repentaglio le coordinate di una convivenza civile. Non considera affatto l’attività della prostituta lecita o libera, ma vuole tutelare la donna che si prostituisce come una cittadina, e rivolgere il suo giudizio d’immoralità non alle prostitute ma al mercato che le sfrutta. La Legge Merlin non è superata, bensì attualissima: persegue la libertà dalla prostituzione, cioè dal non essere considerati una merce in vendita.