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Il debito pubblico? Ecco come azzerarlo


di Lorenzo Maria Alvaro (Vita, 6 febbraio 2018)


– La politica italiana parla esclusivamente di argomenti mediaticamente di impatto dimenticando i problemi strutturali che il Paese non riesce a superare: disoccupazione, povertà e immobilismo economico. Tutti problemi che derivano dal gigantesco debito pubblico italiano. Un problema irrisolvibile? Forse no. Ma bisogna stampare moneta.

La campagna elettorale ha acuito il problema. Ma che la politica raramente si occupi dei problemi strutturali del Paese per inseguire argomenti su cui è più facile lucrare consenso politico è un dato di fatto. Per cui continuiamo a dedicare ampio spazio ai migranti e al tema dell’accoglienza, inseguendo ogni fatto di cronaca, più o meno rilevante, dimenticando indicatori elementari e fondamentali per misurare la saulte di un Paese come la disoccupazione, l’economia o la povertà. Tutte voci che rispondo ad un macro problema più grande: il debito pubblico. Su questo non esistono ricette, proposte o progetti. Non se ne parla e basta. C’è invece esclusivamente su queste crede si giochino le sorti dell’Italia e in qualche misure dell’Europa e così ha deciso di dedicare loro un intero libro. Pieangelo Dacrema, economista e scrittore, ha appena pubblicato “La buona moneta – Come azzerare il debito e vivere felici (o solo un po’ meglio)” edito da VandA.ePublishing.

Lei collega il debito a fattori come la disoccupazione, la povertà o la crescita. Perché?
Sono fortemente collegate. Le dimensioni enormi del nostro debito pubblico impediscono, sono l’ostacolo fondamentale, al varo di politiche economiche di sviluppo. Le condizioni del nostro debito pubblico impediscono una politica monetaria espansiva e di una politica economica di sviluppo. Sullo sfondo ci sono la salvaguardia dell’Euro e della nostra partecipazione all’Europa, che per me, lo premetto sono capitali. Abbiamo bisogno di un’Italia sana e forte all’interno di un’Europa sana e forte.

Allora aveva ragione Mario Monti, la strada del rigore era quella più giusta…
Non è così semplice. In Italia accade, come in altri paesi d’Europa, che solo uno shock monetario possa rilanciare significativo la nostra economia. L’esistenza dell’Euro in questo momento impedisce che questo avvenga.

Quindi ha ragione Salvini?
No, calma (sorride ndr). L’Italia sta già violando in modo molto pesante le due regole fondamentali dell’Euro. In primo luogo il non superamento del 60% del rapporto tra debito e Pil. In questo senso in Europa con il nostro 130%, inferiore sono a quello greco, siamo visti come un caso patologico e malato. Siamo considerati un Paese a rischio perché i nostri titoli sul debito pubblico, dai Bot ai Cct, sono visti come viziosi. Ecco il motivo per cui è sempre sotto controllo il famigerato spread. L’altra regola fondamentale è il rispetto del 3% del deficit sul pil. Il deficit corrente misura quello che su base annua segnala le differenze tra incassi e spese dello stato mentre si parla di debito pubblico nel senso dell’intero ammontare del debito accumulato negli anni. Naturalmente i deficit annuali contribuiscono ad aumentare il debito storico. Questa regola siamo in grado di rispettarla. Ma immaginare che il nostro debito possa un giorno rientrare sotto il tetto del 60% è una vera e propria utopia. Un’utopia disegnata dal fiscal compact. Noi lo abbiamo sottoscritto e accolto nella nostra Costituzione. Ma significherebbe per l’Italia abbattere di una cinquantina di miliardi l’anno il debito. Impossibile.

Siamo in campagna elettorale e si sa che le logiche che la muovono non sempre rispondono ai reali interessi dell’elettorato. Stupisce che il tema economica sia pressoché inesistente dal dibattito…
Diciamo che la campagna elettorale ha toccato i temi dell’Europa e del debito pubblico. Ma senza approfondirli. Occuparsi di questo significa occuparsi dei più gravi problemi che affliggono il sistema economico italiano, in primis quello della disoccupazione, in particolare giovanile. È strano che la campagna elettorale trascuri un tema così forte e dirimente. Nel senso che potrebbe spostare molte preferenze.

E qui si torna a Mario Monti. Neanche con il rigore sarebbe possibile?
Certo, significherebbe affidarsi a politiche monetarie di fortissima austerità, alla Monti appunto, designate a ridurre ulteriormente consumi e investimenti aggravando il problema di disoccupazione e di crescita scarsa che potrebbe addirittura sfociare nella recessione. Ma c’è un problema, un dato ormai acclarato: ovunque siano state applicate non solo si sono rivelate dolorose ma anche inutili. Il debito, nonostante la cura Monti, ha continuato a crescere in modo significativo, allontanandoci, a conti fatti, dall’obbiettivo.

Sta dicendo, in soldoni, che siamo spacciati?
No, a mio avviso un’alternativa c’è. Dobbiamo guardare il passato e imparare qualche lezione. Nella storia ci sono state politiche economiche aggressive e forti che in breve tempo hanno dato grandi risultati. Penso ad Hjalmar Schacht, il banchiere di Hitler (presidente della Banca Centrale Tedesca e Ministro dell’economia) che tra il 1933 e il 1936 ha abbattuto la disoccupazione dal 25% a zero, senza inflazione e promuovendo una doppia circolazione di moneta. Questo è il caso più significativo anche se purtroppo evidentemente poco spendibile. Un altro esempio, anche se meno dirimente ma più presentabile, è il new deal di Roosevelt con cui gli Usa sono usciti dalle secche della stagnazione grazie ad una politica economica espansiva.

Queste esperienze sono alla base del suo ultimo libro. Di cosa si tratta?
L’idea è quella della necessita di uno shock monetario. Si tratterebbe di rimborsare i titoli del debito pubblico in scadenza con una nuova moneta, nulla a che fare con la lira sia chiaro. Una moneta che avrebbe bisogno di una nuova denominazione. Moneta a corso forzoso solo in Italia. Il primo obbiettivo è quello di abbattere in modo significativo il debito in breve tempo. Si raggiungerebbe, secondo le mie stime, la quota fatidica quota del 60% in sei anni.

Perché a questo punto non azzerarlo direttamente?
Domanda lecita la cui risposta può essere solo politica. È la politica che dovrebbe stabilire se fosse il caso di continuare il regime per i 50 anni necessari, fino al 2067. Ma se anche ci si limitasse a rimborsarli fino alla soglia critica del rispetto della regole europea i risultati sarebbero molto significativi.

Ma come funzionerebbe questa doppia moneta concretamente?
Il signor Rossi ha dei Btp in scadenza 2019. È un risparmiatore importante, ha un milione di euro di Btp. A scadenza lui riceverebbe non più euro ma nuova moneta italiana. Ricevendo nuova moneta italiana in cambio dei suoi titoli lo Stato non sarebbe costretto ad emettere nuovi Btp per ripagare quelli in scadenza. Questo perché lo Stato oggi per rimborsare il milione al sig. Rossi deve emettere un milioni di nuovi titoli da vendere sul mercato. È questo il motivo per cui il debito tende ad aumentare e non può diminuire. Con una nuova moneta lo Stato si limiterebbe tramite la Banca Centrale nazionale a stampare moneta senza dover emettere nuovi titoli.

E quale sarebbe l’impatto?
Significherebbe che saremmo in Europa rispettando le famose due regole fondamentali. Non saremmo più un economia malata, almeno secondo quelle regole. Significherebbe poi mettere in circolazione moneta che alimenterebbe l’economia reale e quindi andrebbe ad abbattere disoccupazione e povertà.

Possibile che non ci siano criticità?
Si alcune ci sono. Principalmente sarà molto difficile far accettare all’Europa delle deroga rispetto alla centralità e unicità dell’Euro come moneta in Europa. La Bce e la Germania sarebbero profondamente contrarie. Ma su questo si può negoziare. L’Italia potrebbe facilmente dimostrare la bontà della scelta sopratutto in favore dell’Europa.

Continua a sottolineare la centralità e l’importanza dell’Europa. Quindi il suo è un progetto che non solletica sogni di uscita dall’unione?
Il discorso è abbastanza delicato. Se si andasse a creare i presupposti di un negoziato così importante, anche feroce, sulla possibilità di stampare moneta italiana ovviamente non potrebbe trattarsi di un bluff. Se un negoziato del genere fallisse noi dovremmo andarcene. E molti partiti e fazioni politiche sarebbero felici. Io no perché l’obbiettivo primario sarebbe rimanere in Europa con regole diverse.

Perché?
L’Europa è un grande progetto di cui l’Euro è solo la bandiera, non piccola me ne rendo conto. È però solo un primo passo di un’unione politica che continua a mancare perché è un’unione sorda alle esigenze locale. Anche qui ci sono grandi esempi del passato. L’Impero Romano, il più grande impero di sempre, era molto rispettoso delle singolarità e delle peculiarità dei popoli governati. Un altro esempio, per quanto molto diverso, che considero significativo è l’inglese, che è diventata lingua dominante a livello globale. Ma le lingue locale esistono e guai se venissero soppresse. Ci sarebbe la rivoluzione, giustamente. Nel caso delle monete è ancora più facile, perché raramente le si identificano a una cultura o una tradizione. Che fatica si farebbe a continuare a considerare l’Euro moneta principe con accanto monete locali che avrebbero il pregio di funzionare da motore dello sviluppo locale? Sarebbe anche un modo di contrastare il fenomeno della divinizzazione e della moneta. Tornerebbe ad essere uno strumento per il bene comune e non più un obbiettivo da raggiungere e salvaguardare. Le colpe che l’Euro oggi si prende sono dovute sostanzialmente a questa logica malata.


 

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Valerie Solanas, la seriale odiatrice di uomini prima dell’avvento di #metoo


di Pietrangelo Buttafuoco (Il Fatto Quotidiano, 5 febbraio 2018)


– Pubblicati gli scritti della femminista e provocatrice che passò alla storia per aver tentato di uccidere Andy Warhol.

La ragazza con la pistola è Valerie Solanas. È quella che di sé dice “sono una rivoluzionaria, non una pazza”. La scena contemporanea è tutta di #MeToo, ovvero la campagna di mobilitazione contro gli abusi sulle donne, ma la ragazza che aspetta, punta e spara resta lei: Valerie Solanas che il 3 giugno 1968, e dunque nell’apoteosi del 1968, scarica tre colpi di pistola sul petto di Andy Warhol portandolo sulla soglia della morte. Un fatto, questo, di un’era fa.

Il femminismo bussa oggi alle estreme conseguenze –fare del fatto naturale un fatto culturale – e l’epica della dialettica borghese si consuma nella guerra delle femmine contro i maschi: Woody Allen, probabilmente, in conseguenze delle accuse di molestie che gli arrivano non potrà più presentarsi in pubblico e nel solco di Harvey Weinstein – il produttore predatore – già tutto il monolite ideologico derivato da Hollywood va a franare, un po’ come quando ebbe a svanire l’Impero Sovietico.

Una dittatura che non ci sarà mai più, quella dell’immaginario fabbricato –e qui si capovolge l’esito, tutto di meravigliose pedagogie –nel vapoforno del melodramma liberal, con le faccine di Weinstein e Allen perfette a ricalcare, recuperando Warhol, i medaglioni da parata di memoria bolscevica. Erano quelli con i faccioni di Marx, Lenin e Stalin sulla Piazza Rossa.

La ragazza con cui la coscienza contemporanea non ha mai fatto i conti è comunque Valerie Solanas (Ventnor 1936-San Francisco 1988). Presente nel presepe di Greenwich Village e della stessa Factory di Warhol, Solanas – lesbica, teorica dell’automazione radicale – è innanzitutto l’autrice di Scum.

È il “famigerato manifesto superfemminista”, scrive Stefania Arcara nel saggio introduttivo di Trilogia, tutti gli scritti di Valerie Solanas (Morellini editore), l’opera di una mascolina odiatrice di uomini che “ha subìto un ostracismo permanente attraverso la patologizzazione del discorso psichiatrico e della retorica liberale che ne hanno delegittimato il ruolo di scrittrice e polemista”.

Manifesto Scum non è l’acronimo di Society for cutting up men, ossia Società per la cancellazione dell’uomo (“straordinariamente di cattivo gusto”, dirà la stessa Solanas di questa esegesi della sigla) ma è comunque il marchio custodito nelle genuine che fa da innesco a un capitombolo tutto interno alle dinamiche “della parte giusta”. La guerra delle femmine contro i maschi (ricchi) è la contraddizione in seno alle rivendicazioni dell’autocompiacimento liberale e borghese dove l’uomo –tra le grinfie di Solanas – è il Conformismo. Ecco la prosa: “Il maschio che si avventura più lontano è la drag queen; ha un’identità, è una femmina, ma non ha un’individualità; si conforma in maniera coatta allo stereotipo femminile creato dal maschio, riducendosi a nient’altro che a un fascio di manierismi stilizzati”. Ed ecco la poesia: pum, pum!


 

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Deborah Ardilli: “Valerie Solanas. Trilogia Scum”


di Livio Partiti (Il posto delle parole, 27 gennaio 2018)


– Per la prima volta in un unico libro tutti gli scritti di Valerie Solanas, femminista e provocatrice che passò alla storia per aver tentato di uccidere Andy Wharol.

Assurta alle cronache mondiali come la pazza che sparò ad Andy Warhol – tanto che nel 1996 ne venne tratto un film (I Shot Andy Wharol) -, Valerie Solanas fu invece una figura cruciale della controcultura degli anni Sessanta. Frequentatrice del Greenwich Village e della Factory, lesbica dichiarata, icona del femminismo radicale, è l’autrice del celebre Manifesto SCUM. Oggi ritorna alla ribalta, oggetto di rinnovato interesse da parte dei nuovi femminismi radicali e dei queer studies.
La sua opera, riscoperta nel mondo anglosassone da più di un decennio, resta invece ancora poco nota al pubblico italiano. Trilogia SCUM colma questa lacuna, presentando per la prima volta nel mondo tutti gli scritti di Solanas – Manifesto SCUM in una nuova traduzione e due inediti a livello mondiale In culo a te, Prontuario per fanciulle – in un unico volume arricchito da due introduzioni critiche.
Composta prima del risveglio della seconda ondata femminista degli anni Settanta, a cui ha fornito un impulso decisivo, l’opera di Solanas rivela tutta la sua straordinaria attualità. Con la sua verve polemica e provocatoria, cinica e incendiaria, anticipa temi politici e sociali dibattuti ancora oggi, tra i quali l’uso della tecnologia riproduttiva, l’esclusione delle donne dalla cultura, dall’arte, dalla scienza e dalle risorse economiche, il lavoro domestico non retribuito delle donne, il sessismo psichiatrico e la critica radicale all’eterosessualità obbligatoria.

Valerie Solanas (Ventnor, New Jersey 1936 – San Francisco 1988), scrittrice e commediografa.
Piú volte vittima di abusi sessuali, fin dall’infanzia, visse dall’età di 15 anni per le strade di New York sostenendosi con l’elemosina e la prostituzione. Nel 1965 scrisse il dramma teatrale Up your Ass (In culo a te).
Nel 1967 scrisse “SCUM Manifesto”, dapprima autoprodotto e venduto da lei stessa per la strada a 25 cent alle donne e 50 agli uomini, e poi pubblicato da Olimpya Press. Nel 1968 sparò a Warhol, che si era rifiutato di produrre Up your Ass e fu condannata a tre anni di detenzione. Passò il resto dei suoi giorni fra la strada e vari ospedali psichiatrici, morì a San Francisco all’età di 52 anni.

Deborah Ardilli ha conseguito un dottorato di ricerca in Filosofia Politica presso l’Università di Trieste, è traduttrice e studiosa di teoria politica e storia dei movimenti femministi. Attualmente collabora con il “Laboratorio Anni Settanta” dell’Istituto Storico di Modena.

Stefania Arcara insegna Letteratura inglese e Gender Studies all’Università di Catania ed è presidente del Centro Interdisciplinare Studi di Genere GENUS. Si occupa di traduzione letteraria, letteratura di viaggio, scrittura femminile, gay & lesbian studies, queer studies, pornografia e discorsi sulla sessualità nell’età vittoriana.


 

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Le universitarie tifano per l’eliminazione totale del maschio


di Alessandro Rico (La verità, 12 gennaio 2018)


– Ripubblicata in Italia l’opera omnia di Valerie Solaris, l’attivista radicale che sparò a Andy Warhol e che teorizzò la supremazia delle donne. Su Facebook le sue fan danno vita a una pagina celebrativa.

È una pagina Facebook con circa 500 fan, quella che celebra la pubblicazione in lingua italiana della «trilogia Scum» della controversa scrittrice americana Valerie Solanas, femminista radicale e teorica dell’eliminazione del maschio, che nel 1968 attentò alla vita di Andy Warhol.

Nel 2018, sessant’anni dopo il tentato omicidio di uno dei più grandi artisti del Novecento, arriveranno in libreria i tre titoli più celebri della fondatrice del movimento femminista «feccia» («scum», in inglese): Manifesto Scum, In culo a te e Come conquistare la classe agiata. Prontuario per fanciulle. Il volume, edito da Marellini, è curato da Stefania Arcara, titolare della cattedra di «studi di genere» all’Università di Catania e deborah Ardilli, dell’Istituto storico di Modena.

Nulla da dire, ovviamente, sulla legittimità dell’opera editoriale. A differenza delle femministe stesse, spesso animate da un certo fanatismo censorio, noi riteniamo che tutte le idee, per quanto assurde, possano essere presentate al pubblico. Ma come è lecite esprimerle, è lecito criticarle. Non soltanto perchè l’autrice incensata dal drappello di femministe da social network ne professava alcune oltremodo discutibili, ma anche perchè, dalle curatrici della trilogia, non sembra provenire alcuna esplicita dissociazione dagli esiti violenti cui quelle teorie minacciano di condurre.

La Solanas, nata nel New Jersey nel 1936 e morta a San Francisco nel 1988, da bambina fu vittima di abusi sessuali da parte del padre, esperienza drammatica che deve aver contribuito a quell’odio viscerale nei confronti dei maschi che caratterizzerà tutta la sua parossistica invettiva letteraria. negli anni in cui i figli dei fiori andavano proclamando l’amore libero, infatti, la Solanas, emarginata persino dal movimento hippie, diede alla luce quelle opere, come il Manifesto Scum, in cui definiva il maschio un essere inferiore.

C’è chi addirittura ritiene che la parola Scum, in realtà, fosse l’acronimo di Society for cutting up men, «Società per l’eliminazione degli uomini», che in effetti la Solanas evocava esplicitamente nell’incipit del libro: «Alle donne responsabili, civilmente impegnate e in cerca di emozioni sconvolgenti, non resta che rovesciare il governo, eliminare il sistema monetario, istituire l’automazione globale e distruggere il sesso maschile». Altri interpreti considerano il Manifesto un’opera prettamente satirica, che ribalta provocatoriamente tutti i presunti dogmi della società patriarcale, additando l’uomo come una «femmina mancata» (allusione alla tesi del filosofo greco Aristotele), o trasformando la freudiana «invidia del pene» in «invidia della vagina». Ma se, da un lato, la stessa Solanas confermò che il suo intento era «dannatamente serio», è la sua condotta a dimostrare le finalità tutt’altro che pacifiche.

La Solanas chiese invano a Andy Worhol di realizzare un film basato sulla sua opera Up in Your Ass (In culo a te). L’artista perse la copia che lei gli aveva prestato e, pare, non retribuì il piccolo ruolo della scrittrice nel film da lui diretto, I, A Man. Per vendicarsi, il 3 giugno 1968 la Solanas gli sparò tre colpi di pistola. Giudicata schizofrenica paranoide, scontò tre anni in prigione; Warhol, invece, salvato  per miracolo con un delicato intervento chirurgico, soffrì le gravi conseguenze fisiche e psicologiche di quell’attentato. Il suo amico e collaboratore Billy Name commentò:  «Fu tanto scosso da quell’evento che non gli si poteva mettere la mano sulla spalla senza che saltasse».

Dell’eventuale legame tra le tesi estremiste della Solanas e il tentato omicidio, o del fatto che proprio quelle teorie potessero in parte essere il frutto di una mente malata, non sembra però esserci traccia nè nell’analisi delle curatrici italiane nè nella recensione apparsa il mese scorso su Il Manifesto. In un’intervista comparsa sul blog del collettivo femminista Effimera, anzi, Deborah Ardilli spiega: «È bene chiarire subito che l’obiettivo non era quello di far sparire sotto il tappeto le possibilità violente di Solanas a vantaggio di un’immagine “ripulita” e rassicurante. Ci premeva invece inquadrare quelle possibilità violente all’interno di un orizzonte più largo, sottrarle alle astrazioni del verdetto morale e della schedatura psichiatrica e collegarle a un’intenzione significante indissociabile dal processo intentato da Solanas alla società etero-patriarcale». Insomma, una potenziale omicida diventa quasi un genio incompreso; guai a emettere un «verdetto morale» o una «schedatura psichiatrica». Sarà per questo che, secondo Il Manifesto, è «davvero una bella notizia quella della pubblicazione degli scritti di Valentina Solanas», la cui «fama», si legge genericamente nella recensione, «si intreccia in modi contraddittori con ciò che l’ha resa celebre», ovvero il tentativo di assassinare Warhol.

Lungi davvero dal proposito di ridurre tutto a moralismi o psicologismi, ci resta però un quesito: cosa sarebbe successo se, sessant’anni dopo un tentato «femminicidio», un editore avesse ripubblicato un saggio che esorta alla distruzione del genere femminile? E quante boldrinate sull’hate speech in rete ci saremmo sorbiti, se una pagina Facebook avesse sponsorizzato quell’opera?